Da sindaco di Pavone del Mella, ma anche da assessore e consigliere della Provincia di Brescia, a europarlamentare. È questo l’obiettivo di Mariateresa Vivaldini, candidata per Fratelli d’Italia nella Circoscrizione Nord Occidentale alle elezioni che in questo week end eleggeranno il nuovo parlamento dell’Unione europea. L’esperienza di un amministratore locale, abituato ad affrontare in presa diretta i problemi delle persone, può aiutare ad avere una visione più concreta delle loro esigenze, evitando approcci ideologici come quello che ha caratterizzato il Green Deal europeo. Ma la sfida che deve affrontare la UE è soprattutto quella della guerra e della necessità di avere una politica estera più definita anche in termini di difesa, lavorando per la pace.



Da sindaca di un piccolo Comune lombardo all’Europa: cosa la spinge a questa grande salto?

È stata proprio l’esperienza che ho maturato in questi lunghi anni a fianco dei miei concittadini uno dei motori che mi ha spinto a candidarmi alle Europee. Da sindaco e da Assessore e Consigliere Provinciale, conosco bene i problemi delle famiglie, delle imprese, dei giovani, degli anziani e delle fasce più deboli. Voglio essere utile in Europa proprio a partire da un territorio che conosco, quella provincia di Brescia così ricca di imprese dinamiche e di realtà associative con una grande storia e una grande capacità di mettere in comune bisogni e opportunità. Penso anche che la prossima legislatura europea debba affrontare questioni decisive, come quelle di una politica estera e di una difesa comuni. E anche di una revisione con criteri non ideologici di un “green deal” insostenibile. Voglio esserci con lo stesso slancio ideale e lo stesso realismo con cui faccio il sindaco.



Quali sono le sue priorità per una “nuova” Europa?

Cominciamo col dire che dell’Europa abbiamo bisogno. Ad esempio, la Lombardia esporta nel continente il meglio della propria produzione: dai componenti per gli autoveicoli ai vini di pregio. E i nostri giovani considerano l’Europa come la propria casa allargata. Questi rapporti non solo danno il senso concreto del nostro stare in Europa, ma sono il modello cui guardare per rendere l’Unione europea una realtà effettivamente capace di rappresentarci e tutelarci adeguatamente nel mondo e, al contempo, di sostenere, senza rigidità burocratiche, la crescita e lo sviluppo della nostra società e delle persone. Ma c’è una questione decisiva, relativa alla natura stessa dell’Unione e alle ragioni per cui è nata: garantire la pace e uno sviluppo giusto e per tutti. O ci diamo strumenti decisionali e operativi adatti allo scopo o saremo deboli comprimari. Invece serve un’Europa protagonista nello scenario internazionale.



Ambiente e sviluppo sono una priorità per molti: come si possono conciliare?

La legislatura europea 2019-2024 è stata contrassegnata da alcune priorità e strategie sbagliate. Sinistre e verdi hanno avuto un ruolo determinante che ha prodotto l’imposizione dell’agenda progressista, frutto di demagogia e ideologia, più che di una concreta capacità di coniugare lo sviluppo con il rispetto delle persone e dell’ambiente. Io dico sempre una cosa: la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche economica e sociale. Non posso ridurre l’uso dei fitofarmaci in agricoltura senza pormi il problema della riduzione della produttività in questo settore, con la conseguente necessità di importare cibo da paesi in cui le regole e i controlli sono assai meno rigidi che in Europa. Non si può fare la guerra all’industria automobilistica per passare velocemente all’auto elettrica, senza porsi il problema delle famiglie dei lavoratori e delle imprese dell’indotto lasciate senza reddito – oltre al fatto che così ci consegniamo mani e piedi alla Cina, che detiene il 50% della produzione delle batterie per le  auto. Ma dirò di più, riprendendo un concetto elaborato dal Magistero degli ultimi pontefici: l’ecologia deve essere integrale e considerare il creato come l’ambito in cui vive l’uomo.  Non è possibile pensare di battersi a livello comunitario per il benessere animale e poi avallare pratiche disumane come l’utero in affitto. Ed è schizofrenico lottare per avere più alberi e poi sostenere l’introduzione di pratiche eutanasiche considerando malati e anziani come “scarti”. Sicuramente la prossima legislatura dovrà segnare un cambio di passo da questo punto di vista.

Fondi Pnrr, immigrazione, come si affrontano queste emergenze?

Poi, appunto, c’è tutto il discorso sui fondi. Il Pnrr, certo, rispetto al quale ricordo che siamo l’unica nazione ad aver ottenuto la sesta rata. Ma non solo quello. Ci sono oltre 130 miliardi di programmazione settennali, di cui l’Italia intercetta meno del 40%. Occorre una politica diversa, che non ci faccia essere spettatori. L’Italia con Giorgia Meloni ha un governo autorevole da questo punto di vista e che sta già cambiando l’Europa. Pensiamo al tema dell’immigrazione. È stato votato in primavera un Patto per l’immigrazione che mette a fattor comune l’esperienza dell’accordo tra Italia e Albania in tema di collaborazione nella gestione dei flussi di ingresso. È ancora poco, ma il Piano Mattei sta indicando la strada da percorrere nei prossimi anni e non è un caso che gli accordi con Tunisi e Il Cairo siano stati firmati non solo da Roma, ma anche da Bruxelles. Il governo Meloni sta facendo piano piano cambiare approccio: dai litigi sulla ridistribuzione interna dei migranti, al partenariato con i paesi di provenienza per creare lì condizioni di sviluppo e impedire che emigrare sia una necessità.

Da politica cattolica, cosa pensa della politica dei diritti portata avanti dall’Europa senza se e senza ma?

I diritti senza doveri nascono da una concezione dell’uomo come individuo isolato e quindi  facile vittima di ogni potere  anche se si crede padrone della propria vita.  Ho incontrato spesso, invece, realtà e storie di persone capaci di farsi carico, insieme, dei bisogni degli altri e dei propri. Lo stato dovrebbe riconoscere in primo luogo la positività di queste iniziative e sostenerle: la sussidiarietà di cui parla la nostra Costituzione non può essere una semplice enunciazione di principi. Quanto all’Europa, farebbe bene ad astenersi sulle questioni che non le competono, come ad esempio il presunto diritto all’aborto.  E le corti internazionali, come la Cedu, non possono diventare legislatori di fatto, emettendo sentenze che introducono nel nostro ordinamento nuovi, presunti, diritti. Purtroppo l’Europa di oggi è anche questo. Credo invece che le competenze sulle cosiddette questioni sensibili, come vita e famiglia, siano degli stati membri e che a loro debbano rimanere. L’Europa non è nata per allargare a dismisura i diritti individuali. È nata invece per un progetto comune, cioè garantire pace e sicurezza. Mi sembra che abbia abbandonato da tempo questo progetto comune per dedicarsi alle battaglie ideologiche tanto care al mainstream progressista. È ora di cambiare e io voglio contribuire a questo cambiamento.

In questa campagna elettorale, come ormai accade negli ultimi anni, c’è sfiducia nella politica e aumenta l’astensionismo: perché val la pena andare a votare, vuole fare un appello?

Perché c’è una guerra ai nostri confini. E noi, da soli, non possiamo garantirci pace e sicurezza. Per questo serve un’Europa più autorevole, con una forte investitura popolare. Chi non vota mette a rischio una realtà, quella dell’Unione europea, di cui abbiamo bisogno. E chi vota non delega agli altri la scelta sugli obiettivi e sulla stessa natura di una Unione che deve fare di meno in molti settori e di più per favorire pace, crescita economica e solidarietà sociale. Una grande partecipazione al voto metterà la politica di fronte alla propria responsabilità di cambiare quella che viene oggi avvertita come una macchina burocratica, che non tiene conto delle esigenze e delle peculiarità dei diversi territori. L’Italia, poi, ha bisogno di essere più rappresentata e sostenuta.

Insomma, un voto importante?

Il mio appello è di andare alle urne ed esercitare il diritto di voto anche perché non votare vuol dire non prendersi la responsabilità di una decisione. E questo è uno dei mali del nostro tempo, che investe tutti i livelli: da chi si astiene non andando alle urne fino alla stessa politica, che aspetta sempre che qualcun altro prenda decisioni impopolari al posto suo, sia un’autority, un tribunale, un organismo internazionale. Chiedo di votare Fratelli d’Italia perché è il partito che vuole che la politica si assuma la responsabilità delle scelte che le competono. In più, le elezioni europee sono tra le poche in cui gli elettori possono scegliere da chi farsi rappresentare attraverso le preferenze. Barrare il simbolo Fratelli d’Italia e scrivere Vivaldini ha questo valore e questo significato e vuol dire portare in Europa l’esperienza di un amministratore locale, di una donna che da vent’anni ci mette la faccia facendosi carico dei bisogni dei propri concittadini.

 

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