I principali listini europei ieri hanno chiuso in negativo e i rendimenti delle obbligazioni dell’Unione europea sono saliti in controtendenza rispetto ai corrispettivi americani. La novità per gli investitori non è tanto un cambio di maggioranza a Bruxelles, che con ogni probabilità non ci sarà, quanto la decisione del Presidente francese Macron di convocare nuove elezioni, previste per l’inizio di luglio, per eleggere una nuova assemblea nazionale. La conclusione praticamente unanime è che l’avanzata dei partiti di destra verrà neutralizzata a livello europeo da una conferma dell’attuale maggioranza; l’elemento di incertezza emerso dalle elezioni di ieri è invece in Francia molto più che in Germania, perché in questo secondo caso la Cdu-Csu sembra già pronta a raccogliere il testimone di Scholz.
L’analisi degli investitori prende la forma sia della performance del principale listino azionario francese, di gran lunga il peggiore in Europa ieri, sia nell’andamento delle obbligazioni statali d’oltralpe. Lo spread tra decennale tedesco e francese sale al massimo da dicembre; il rendimento del decennale spagnolo raggiunge la minore differenza rispetto a quello francese dal 2009, a testimonianza anche dello stato di grazia dell’economia spagnola e del suo sistema energetico; lo spread tra Italia e Germania, invece, sale ma senza incrementi particolari. La questione per i mercati è quindi la Francia e l’impatto delle elezioni di luglio.
Per gli investitori questo non è il primo terremoto politico di “destra” in Europa. Due anni fa i mercati hanno assistito al trionfo in Italia di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia senza che sia successo nulla dentro l’Europa; sulle questioni economiche e di politica internazionale l’Italia non ha rappresentato un problema. Lo spread Italia-Germania venerdì viaggiava ai minimi da gennaio 2022 quando la Russia decideva di invadere l’Ucraina. Dopo il picco della crisi energetica europea, 2021/2022, lo spread è solo sceso nonostante il peggioramento del conflitto con la Russia, gli alti prezzi energetici e la virata green europea passata dal divieto dei motori a combustione e dagli obiettivi “green” anche per le case degli italiani. Gli investitori potrebbero a ragione concludere che una vittoria di un partito di destra non è né la fine del mondo, né quella dell’Europa.
L’unica spiegazione, quindi, è che si scommetta su un peggioramento delle relazioni tra Francia ed Europa con il Paese transalpino più disallineato e “sovranista” e che questa frattura possa aprirne altre in Europa. Dentro l’Unione europea negli ultimi anni la principale fonte di “volatilità” è stata l’Ungheria di Orban che però non è nell’euro e non ha neanche minimante lo stesso peso politico francese. I temi caldi sono tanti: dalla politica energetica, fino a quella industriale e commerciale passando per la politica estera e la transizione green. L’Europa è una somma di Stati con condizioni economiche, energetiche e finanziarie profondamente diverse; negli ultimi anni l’unità è stata preservata grazie a sacrifici di singoli Paesi membri che in alcuni casi sono stati molto costosi. Le sanzioni alla Russia, per fare un esempio, hanno un costo molto diverso a seconda che si sia in Germania o Italia piuttosto che in Francia o Spagna. La guerra commerciale che si intravede con gli Stati Uniti e la Cina, per i sistemi industriali nazionali comporta contraccolpi differenti a seconda di quale settore si decida di colpire. Infine, in Europa ci sono eserciti più pronti e altri meno.
I potenziali elementi di confronto non mancano e con essi i motivi di scontro tra la Francia e Bruxelles.
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