La Francia è insubordinata. Il bilancio di Emmanuel Macron ha cristallizzato un movimento di protesta a destra e a sinistra che si è espresso nelle strade con la crisi dei Gilet gialli e poi con le manifestazioni anti-vax e anti-pass nati dalla crisi sanitaria e che si esprime ancora oggi nelle urne in occasione delle elezioni presidenziali con una tripartizione, come risultato del primo turno, del panorama politico.
Sono emersi tre blocchi di forza quasi uguale: il centro di Macron rafforzato a destra; l’estrema destra guidata da Marine Le Pen e la sinistra radicale rappresentata da Jean-Luc Mélenchon. Raccogliendo il 21,95% dei voti al primo turno, il presidente di France Insoumise ha mancato di poco la qualificazione per il secondo turno, lasciando il presidente in carica (27,84%) e la leader del Rassemblement National (23,15%) ad affrontarsi, ma potrebbe essere lui a determinare la vittoria del prossimo 24 aprile. Non solo per il trasferimento dei suoi voti, una questione fondamentale per ciascuno dei due finalisti, ma perché incarna una Francia divisa, dove il confronto tra il governo e la rabbia espressa nelle strade non sembra più permettere la discussione o il compromesso.
Un dato inatteso illustra questa situazione senza precedenti: il 31% degli studenti delle Grandes Écoles francesi, la maggior parte dei quali è espressione delle élite che il popolo oggi rifiuta, ha votato per Mélenchon, mentre i loro genitori storicamente votano a destra ed essi stessi venivano formati per fare lo stesso. Questo dato può sembrare contraddittorio, ma è uno dei segnali di un grande sconvolgimento sociologico che percepiamo anche nell’elettorato della France Insoumise: giovani, dirigenti, professionisti, abitanti delle grandi città, una Francia lavoratrice tutt’altro che marginale.
Prima del secondo turno, questi elettori si trovano nella situazione inedita di scegliere “tra il peggiore e il meno peggio”, come diceva Machiavelli, tra un Macron che considerano arrogante, distante e senza preoccupazioni per la loro vita e una Le Pen il cui programma, soprattutto in materia di sicurezza e di immigrazione, non corrisponde affatto ai loro valori. La sfida lungo quest’ultimo rettilineo per i due finalisti è dunque parlare al 26% dei francesi che si sono astenuti dalle elezioni, ma soprattutto a questi 7,6 milioni di elettori. Nel 2017, il 52% di essi aveva sostenuto Macron e il 7% Le Pen. I sondaggi attuali illustrano il cambiamento di situazione che potrebbe funzionare contro il presidente uscente: 34% per Macron, 30% per Le Pen e 36% di voti nulli o astensioni.
La politica non è però solo una questione di numeri. È un progetto politico, una scelta della società. Il voto al primo turno non solo ha messo di fronte due candidati con due visioni della Francia, ma due parti di Francia che oggi sono in contrapposizione.
La Francia di Macron, favorevole alla globalizzazione, pro-Europa, garante di un’economia forte e intraprendente, una Francia che va bene, benestante, fiduciosa nel futuro, la Francia delle città, dei pensionati, dei dirigenti e dei laureati. Sul fronte opposto, una Francia popolare, sovranista, attaccata ai suoi confini, la Francia di Le Pen, quella che ha paura, che manca di punti di riferimento, che non affronta bene la globalizzazione e che teme le aggressioni esterne. È la Francia dei territori periferici, dei comuni rurali, degli operai e degli impiegati, privati dei servizi pubblici locali, in ribellione contro le élite che considerano incapaci di migliorare la loro vita.
Per questo, le loro strategie sono chiare. Emmanuel Macron, dopo una campagna minimalista al primo turno, corregge la mira e scende in campo per incontrare gli elettori arrabbiati, la Francia del “tutto tranne Macron”, per mettere forse in dubbio l’immagine distante e arrogante che gli è rimasta appiccicata addosso negli ultimi 5 anni. Mentre Marine Le Pen gioca la carta della rispettabilità, lui gioca la carta dell’umiltà e dell’anti-estrema destra, attaccando la candidata su un programma economico e sociale difficile da difendere, troppo costoso, e sul rischio di uscire dall’Europa e di rivedere i trattati europei. Si mostra pronto al compromesso, in particolare sulla sua grande riforma delle pensioni che cristallizza l’opposizione e per “inventare qualcosa di nuovo” ammorbidisce la sua immagine.
Le Pen approfitta del fatto che Macron ha un bilancio da difendere per screditarlo ed eccitare l’anti-macronismo, al fine di convincere gli Insoumis di Jean Luc Mélenchon e gli astensionisti a farlo uscire dall’Eliseo. Gli rimprovera di aver fatto poco per combattere l’insicurezza e l’immigrazione illegale. Ha parlato del suo “autoritarismo”, rimproverandogli di occuparsi solo dei ricchi favorendo “la sua casta”, e ha denunciato un quinquennio in cui “ha diviso, disprezzato, ferito e sbagliato”. Una difficoltà, tuttavia, si profila all’orizzonte: il programma estremista che sta svelando è una minaccia per le istituzioni attuali e per il ruolo della Francia in Europa. Potrebbe, nonostante la statura presidenziale che sembra aver acquisito, farla cadere di nuovo.
Anche se ancora favorito nei sondaggi, la vittoria di Macron non è più una certezza. Comunque, una vittoria inferiore al 55% per il presidente uscente creerebbe, secondo gli analisti politici, una crisi del sistema politico e della sua rappresentatività, una difficoltà di governo e un problema per le prossime elezioni legislative. Il dibattito tra i due candidati che avrà luogo mercoledì prossimo sarà il culmine del loro confronto e l’esito sarà fondamentale per entrambe le parti.
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