La campagna elettorale per le elezioni presidenziali è un esercizio politico che piace particolarmente ai francesi. I cittadini lo vedono come un’opportunità per un grande dibattito democratico che permette il confronto delle ideologie, e nonostante un dubbio sempre crescente nell’opinione pubblica sulla capacità dei politici di risolvere le crisi, è un momento molto apprezzato.
Tuttavia, questa undicesima elezione presidenziale della Quinta Repubblica è diversa da qualsiasi altra e gli aggettivi usati per descrivere la campagna sono tristemente simili: in sospeso, senza dibattito, timida…
A meno di una settimana dal primo turno, la frustrazione dei francesi, esausti per il Covid e inorriditi dalla guerra in Ucraina, si rifletterà nelle urne? I sondaggi annunciano un 2017 bis, con Emmanuel Macron invischiato nell’affare McKinsey e che fatica a dare un senso alla sua candidatura, e Marine Le Pen che sembra entrare in questo tratto finale con l’energia di chi sa di avere un’ultima chance.
Paradossalmente, la campagna era iniziata in anticipo e prometteva di essere eminentemente politica, con 11 candidati ben definiti, ma è successo il contrario. La scelta tattica di Macron di ritardare la sua entrata in campagna elettorale ha rallentato la dinamica e l’invasione dell’Ucraina ha sigillato il corso delle cose, congelando ogni possibilità di dibattito. La guerra ha fatto passare in secondo piano le preoccupazioni dei francesi, come il potere d’acquisto delle famiglie, le tasse o l’immigrazione, e li ha portati a far quadrato attorno al capo dello Stato, che è anche il capo dell’esercito.
Marine Le Pen, Eric Zemmour e Jean-Luc Mélenchon, tre dei candidati che potevano competere con Macron, hanno pagato un prezzo pesante per la loro simpatia verso il leader del Cremlino in una campagna senza lotta, dove le somiglianze tra Le Pen/Zemmour, Macron/Pécresse o Mélenchon/Roussel hanno diluito i dibattiti. Un recente sondaggio ha inoltre indicato che su 100 elettori di Marine Le Pen, la favorita contro Macron al secondo turno, 37 potrebbero votare anche Zemmour, 16 Pécresse, 14 Macron e 10 Mélenchon. Un divario senza precedenti.
Macron ha annunciato che non parteciperà a un dibattito prima del primo turno, ponendosi al di sopra della mischia, come aveva voluto sin dall’inizio. Dando una mano alla sinistra che non ha mai aderito al discorso della sua candidata Anne Hidalgo, Macron spera di uscire dal primo turno allargando il divario con Marine Le Pen e Jean Luc Mélenchon, entrambi i quali hanno goduto di uno slancio positivo negli ultimi giorni.
Questi movimenti dell’ultimo minuto dell’opinione pubblica lasciano tuttavia poco spazio alle sorprese. Con il 27% delle intenzioni di voto per Macron, il 22% per Marine Le Pen e il 16% per Mélenchon, il dado sembra essere tratto. Eppure, un tasso di astensione molto alto tra gli elettori moderati potrebbe favorire l’estrema destra e sorprendere il Paese all’ultimo momento.
Due osservazioni vanno però fatte senza aspettare i risultati: la Francia si è spostata a destra, lasciando al Partito Socialista, guidato dal sindaco di Parigi, il 2% delle intenzioni di voto; e la sfida ecologica, che avrebbe dovuto essere al centro dei programmi della campagna elettorale di tutti i candidati, non è stata affrontata da nessuno.
La frustrazione di questa campagna fallita per i cittadini e il calo del potere d’acquisto fanno già pensare a un inizio difficile per il nuovo inquilino dell’Eliseo.
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