Al momento, a due mesi dalla rielezione di Macron, è un testa a testa, tutto si deciderà domenica prossima. Al primo turno delle elezioni legislative in Francia la coalizione di Emmanuel Macron arriva davanti a quella di sinistra guidata da Jean-Luc Mélenchon per soli 21mila voti: Ensemble!, la maggioranza presidenziale, raccoglie il 25,75%, mentre Nupes, il gruppo che si è formato attorno a La France Insoumise di Mélenchon, è al 25,66%. Seguono il Rassemblement national di Marine Le Pen al 18,68%, e i Républicains, neogollisti, al 10,42%.



Essendo stati eletti solo 5 dei 577 deputati dell’Assemblea nazionale, tutto si gioca in questi sette giorni durante i quali i leader dovranno convincere i francesi a recarsi alle urne, visto che l’astensione ha raggiunto la quota record del 52,49%. “Contrariamente a ciò che dice Melénchon, che grida persino a percentuali taroccate ad arte secondo cui sarebbero in vantaggio i suoi – osserva Francesco De Remigis, inviato a Parigi de Il Giornale – l’alleanza di Macron è la forza politica che ha più candidati qualificati al secondo turno, pronti a sostenere le politiche del presidente”.



Macron rischia davvero la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale?

A oggi nessuno può dire con certezza se Macron disporrà di una maggioranza assoluta domenica sera. Il secondo turno per il rinnovo dell’Assemblea nazionale non è mai stato così serrato da quando il leader centrista è in campo. Ha sei giorni per blindare la marcia riformista. Altrimenti avrà bisogno dei repubblicani di LR per fare da cerniera, orientando alcune politiche verso i neogollisti o in certi casi a sinistra.

Macron ha invitato tutti all’“umiltà”. Come va interpretato questo richiamo?

I voti di scarto sono stati solo 21.440. Invitare all’umiltà non significa fare autocritica, ma lanciare un messaggio di ulteriore mobilitazione a una base centrista che sul piano locale non è così radicata né forte, a cui chiedere ora di far passare il messaggio presidenziale. Anche usando la guerra come fantasma destabilizzante, suggerendo un mandato solido e al riparo da scossoni.



Da dove iniziare?

Ha cominciato la neo premier Elisabeth Borne, a sua volta candidata per un seggio, evocando il bisogno di stabilità per la Francia, un modo per lanciare l’allarme di un potenziale quinquennio segnato da inceppi parlamentari che ritarderebbero la proposta del nuovo Macron, meno chiuso nei palazzi e più sul terreno delle promesse. Soprattutto stanno provando a scacciare l’idea, a oggi lontana ma evocativa, di un premierato imposto con Mélenchon sul trono dell’esecutivo.

C’è questo rischio?

Non credo. Nei tre quarti delle circoscrizioni c’è un candidato della maggioranza al ballottaggio. Negli altri, lepenisti e/o candidati della sinistra riunita. Nessun voto, dicono i macroniani, per quello che la maggioranza presidenziale definisce ancora “Front national”. Né per chi insulta la polizia, come fa il tribuno della gauche, o per chi invita a uscire dall’Ue o dalla Nato e non difende l’Ucraina.

Qual è la strategia?

Far campagna contro le estreme, considerate a torto o a ragione anti-repubblicane. Borne ha però ammesso che la maggioranza può sostenere membri dell’opposizione laddove i macroniani sono fuori, per esempio il comunista Fabien Roussel. Una linea generale molto duttile, insomma, a tratti confusa: non un voto ai lepenisti, né alla Nupes di Mélenchon. Con qualche se.

Macron teme anche Le Pen oltre a Mélenchon?

A Bleumarine si attribuiscono già tra i 20 e i 45 seggi, numeri con cui potrebbe formare per la prima volta un gruppo parlamentare; il che significa poter presentare emendamenti, proposte, intralciare l’attività della maggioranza. E soldi in più nelle casse di un partito che dipende ancora da un prestito russo. Cinque anni fa erano circa 120 i ballottaggi lepenisti, quasi tutti persi. Oggi siamo intorno ai 200. La coalizione di sinistra, verdi, comunisti e altre sigle riunite attorno al tribuno Mélenchon vantano invece una potenziale pattuglia in Assemblée tra i 150 e i 190 deputati.

I 15 ministri del governo non escono bene da questo primo turno. Che cosa significa?

Intanto due ex ministri di Macron sono stati battuti al primo turno ed esclusi dal ballottaggio. Non un bel segnale. E nel voto “estero” era stato già perdente l’ex premier di Hollande, Manuel Valls, che ha appoggiato il bis di Macron. Il presidente aveva promesso in campagna elettorale che i ministri in carica, candidati, se non eletti, dovranno lasciare il governo. Se ce la fanno, sono blindati, nonostante le polemiche subìte da un paio di loro. Se perdono, un mini rimpasto sarà inevitabile. Due rischiano grosso dopo il primo scrutinio.

Mélenchon è riuscito a rianimare una gauche che sembrava ormai defunta?

La dinamica innescata da Mélenchon può risvegliare interessi di protesta sotterranei, ma una volta eletti insieme i parlamentari Nupes resteranno uniti o formeranno gruppi separati in Parlamento? Per il tribuno gauchista è già un successo, ma non gli basta per rivendicare il ruolo di primo ministro.

Il dato che balza all’occhio è l’astensione che ha raggiunto un nuovo record storico, attestandosi al 52,49%: è una Francia che ha letteralmente disertato le urne, come poche volte era successo. Perché?

Di solito più è alta l’astensione e più si avvantaggia la maggioranza uscente. Oggi, al ballottaggio, è un rebus.

Cosa succederà tra una settimana? Chi tra i due schieramenti può contare sulla “riserva di voti” più promettente? E quali possono essere i temi in grado di scaldare i francesi?

Anzitutto, c’è il viaggio in Est Europa, di Macron, in Romania. E poi chissà se andrà anche a Kiev prima del voto. Anche la guerra conta in questa campagna elettorale, gli sforzi della maggioranza nel ricordare le posizioni pro russe di Mélenchon si moltiplicano. Il prezzo dei beni di prima necessità e della benzina sono, per così dire, trend topic. Non è da escludere che qualche sconfitto al primo turno tra i lepenisti possa informalmente orientare parte dei suoi voti sulla gauche, per dar fastidio a Macron.

Quali prospettive hanno davanti Macron e il suo governo?

Caso per caso, dovrà cercare voti anzitutto tra i neogollisti per far avanzare i provvedimenti. Va senza dubbio più d’accordo con i repubblicani che non con la gauche o l’estrema destra. Una maggioranza a elastico, vivere provvedimento per provvedimento il mandato bis. D’altronde la stessa portavoce del governo ha detto che il nuovo esecutivo sarebbe stato integrato dopo le legislative.

Un gesto di debolezza?

No, semmai una dimostrazione di forza. L’attrattiva del centrismo variabile di Macron finora ha giocato a suo favore. Il puzzle del bis non è ancora completo. Altri potrebbero raggiungere la “Macronie” al governo, da verdi a certi pezzi della sinistra. En Marche ha cambiato nome in Ensamble! non a caso… È il grande centro di governo, con anime variegate. Quello che in Italia non si è riusciti a creare. Certo, rispetto al 2017 ha perso qualche punto, ma non la sua attrattiva.

(Marco Tedesco)

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