Il sistema a doppio turno vigente attualmente in Francia, concedendo la possibilità di coalizioni, è valorizzato dal 2002 dalle forze di centro-sinistra e di sinistra-centro per superare il partito di destra che, da almeno vent’anni, esprimendo la maggioranza relativa dell’elettorato francese, prevale puntualmente al primo turno. Da due decenni infatti, la destra del Front National e successivamente del Rassemblement National miete consensi crescenti per venire poi puntualmente superata da una “union sacrée”, attualmente denominata Nouveau Front Populaire, che recupera tutti i voti dispersi tra il centro e l’estrema sinistra per scavalcare la coalizione di destra-centro e quindi prevalere su quest’ultima.
Se da un lato il pronostico di oggi, domenica 7 luglio, data l’opera di demonizzazione praticata verso il Rassemblement qualunque politica indichi e comunque si schieri, è pertanto scontato, non vanno qui dimenticate due condizioni affinché questo si verifichi.
Una simile strategia per rivelarsi efficace richiede infatti che la coalizione di sinistra-centro del Nouveau Front Populaire non contenga rappresentanti di politiche in aperta opposizione tra loro e che il partito da scavalcare – in questo caso il Rassemblement National – sia sufficientemente lontano dal centro (sia quindi più di destra-centro che non di centro-destra), in modo da poter contare sul consenso degli elettori centristi che finiscono così per essere il vero ago della bilancia.
Entrambi questi elementi questa volta fanno difetto.
In primo luogo perché la lunga marcia di Marine Le Pen verso il centro, conquistando i favori del centro-destra dei Républicains di Éric Ciotti, è sempre più lontana dall’essere riassunta nella caricatura razzista e xenofoba del padre Jean-Marie, fondatore del Front National negli oramai lontani anni Settanta. In secondo luogo perché le posizioni all’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, accentuano il carattere anomalo della coalizione del Nouveau Front Populaire portando in dote, all’interno di questo, un’inaspettata vena antisemita.
Al cuore delle posizioni di Mélenchon è infatti particolarmente visibile un’imbarazzante deriva anti-israeliana. Le bandiere pro-Gaza inalberate dalla France Insoumise procedono di pari passo con le invettive contro Israele, ritenuto non più come uno Stato invasore nel quadro di un’operazione di guerra contro Hamas, ma come il responsabile di un genocidio. Cioè di quello stesso crimine con il quale è stata portata alla sbarra la Germania nazista nel 1945 e del quale gli ebrei sono stati la principale vittima con sei milioni di vittime.
Se nel passato gli ebrei sono stati il bersaglio dei nazionalismi di ogni fattura, adesso, nell’universo immaginario della France Insoumise, è l’esatto contrario a prodursi. Infatti sono gli ebrei, ed in particolar modo lo Stato di Israele che li incarna nella forma-nazione, ad essere i rappresentanti dello strapotere occidentale verso il quale ogni ribellione è legittima.
Una tale presa di posizione dichiaratamente anti-ebraica sta producendo reazioni a raffica sfocianti in imbarazzanti silenzi, diverse fuoruscite e non poche prese di posizione all’interno dello stesso universo progressista.
L’antiebraismo di Mélenchon, così ingombrante per i compagni di strada, ma anche così difficile da essere messo da parte dal fondatore della nuova opposizione di sinistra, merita pertanto qualche spiegazione.
Per questa nuova sinistra il conflitto non è più tra gruppi sociali in una società asimmetrica, dove il successo degli uni implica la marginalità degli altri. A questo scenario se ne è sostituito un altro, molto più vasto e che va ben al di là dei confini nazionali per raggiungere le dimensioni di un fenomeno su scala mondiale.
Nella misura in cui le nuove realtà marginali risiedono nelle minoranze di colore, nelle donne dei diversi Sud del mondo e negli arcobaleni dell’LGBTQ+, il nemico da abbattere non è più il conservatorismo liberale in tutte le sue forme, bensì l’Occidente stesso e il suo impero culturale. In una riedizione de I dannati della terra di Franz Fahon, rivisitato dall’estremismo sragionevole di Sartre – che su questo ha realmente farneticato – sono i subordinati all’etnocentrismo europeo prima e americano poi, ad essere i veri oppressi, le vere vittime, del nuovo ordine mondiale.
In questo senso ciò che si sta combattendo a Gaza è tutt’altro che una guerra tra Hamas e Israele, bensì la punta di un conflitto ben più vasto. Un conflitto che è parte integrante della rivolta globale di un intero universo di popoli e culture fino ad oggi emarginato dall’imperialismo occidentale dominante. Di questo imperialismo lo Stato di Israele, al di là delle sue piccole dimensioni, ma in ragione degli appoggi militari e finanziari di cui gode, sarebbe la punta avanzata. Pertanto la guerra mossa da Israele ad Hamas non si configurerebbe affatto come un’operazione militare in risposta ad un attacco terrorista, ma costituirebbe un vero e proprio piano di sterminio preparato a tavolino, in nome del predominio di un Occidente del quale l’etnocentrismo europeo è il vero mandante, gli Stati Uniti la punta avanzata ed Israele il fedele esecutore.
Così, secondo il partito di Mélenchon, il 7 ottobre non si è verificato nessun pogrom anti-ebraico, bensì un atto di rivolta da parte di un popolo oppresso verso il suo oppressore. Il numero delle vittime è stato volutamente esagerato e le fake news sono state prodotte ad arte dalla propaganda israeliana al fine di imputare dell’eccidio un popolo povero che in realtà è innocente.
In tal modo, a differenza dell’antisemitismo che ha portato gli ebrei a morire nei campi di concentramento ed il fronte nazifascista alla vergogna eterna e imperdonabile, il nuovo antisemitismo sembra essere del tutto giustificabile. Ed è questo il paradosso nel quale la “sinistra ripida” in caduta libera di Jean-Luc Mélenchon è finita con il precipitare.
Si tratta di prese di posizione rivelatrici di una trasformazione di fondo. Una trasformazione antropologica di una parte della sinistra francese che oggigiorno ha occupato pericolosamente “la testa del corteo” dell’opposizione progressista e che rende ancora più eteroclito lo schieramento anti Rassemblement National. Se quest’ultimo riuscirà battuto dalle elezioni, la sinistra multiverso che riunisce i diversi Sud del mondo e gli sbandati di ogni sorta costituirà un ingombrante compagno di strada per ciò che resta di quel centro che Emmanuel Macron aveva cercato di ricostruire.
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