Molte cose sono cambiate in Francia in chiave elettorale rispetto a domenica scorsa e l’esito più probabile ipotizzato dagli analisti potrebbe essere alla fine una sostanziale ingovernabilità del Paese, come forse si augurava proprio Macron.

L’appello – o, meglio, il ricatto – di Macron nel chiedere il ritiro dei terzi e quarti classificati al primo turno ha avuto, nonostante molte proteste anche all’interno del governo, ben 208 adesioni e quindi in gran parte dei collegi domenica ci sarà uno scontro diretto RN contro “resto del mondo”. Questo può portare ad una sconfitta lepenista in buona parte dei collegi anche se fosse confermato quel 35% di voti a destra del primo turno. Percentuali che al secondo turno risentono comunque delle tendenze nelle diverse aree regionali e delle personalità dei candidati che, soprattutto fuori dalle grandi città, hanno un loro seguito personale che va spesso al di là dello schieramento di appartenenza.



In questo quadro, il presidente avrebbe come obiettivo quello di mantenere di fatto – nonostante la sua evidente sconfitta elettorale – una posizione di forza rispetto al parlamento neoeletto imponendo un suo premier “tecnico” ed evitando soprattutto una pericolosa coabitazione politica con Jordan Bardella, il temuto leader del Rassemblement National.



Ci sono poi altri aspetti tecnici e politici che influenzeranno il risultato finale di queste elezioni.

Primo punto fondamentale sarà l’affluenza alle urne, probabilmente in calo rispetto al primo turno per un motivo comprensibile: se gli elettori di destra torneranno tendenzialmente compatti al voto, al centro e nella sinistra molti non voteranno per non aiutare un candidato lontano dalle proprie posizioni politiche. Quanto inciderà questo astensionismo sull’appoggio al singolo candidato di centro-sinistra rimasto nel collegio?

Chiedendo che venga accolto il suo appello al voto unitario, Macron ha invocato la desistenza facendo un appello al “voto utile” contro la destra, ma contemporaneamente ha affermato, spiazzando tutti, che però non cederà mai ad un governo con parte della sinistra.



Una dichiarazione necessaria a tranquillizzare politicamente i suoi elettori di centro, ma che allontana quelli di sinistra e in generale chi si troverebbe a votare un candidato “unitario” solo in termini anti-RN, addirittura rinforzando con il proprio voto posizioni politiche opposte o almeno lontane dalle proprie.

Come farà un “macroniano” a votare un candidato che rafforzerebbe poi con il suo voto l’opposizione o – al contrario – un elettore comunista a votare l’“odiato” Macron, rendendolo più forte? È una incongruenza che molti elettori hanno progressivamente percepito, incrinando il concetto di “voto utile” e preparandosi, forse, a disertare le urne.

Alla fine parleranno i numeri, ma secondo i più accreditati sondaggisti domenica sera la Francia si ritroverà nel caos. Posto infatti che molti eletti di centro-sinistra entrino in parlamento proprio sulla base delle reciproche desistenze, in Assemblea non costituiranno però un blocco unitario, ma una serie di gruppi parlamentari con programmi spesso opposti tra di loro.

È possibile quindi un sostanziale impasse generale (forse appunto la grande speranza di Macron) con il Rassemblement National primo partito di Francia, ma senza maggioranza assoluta, e gli altri divisi tra loro senza poter esprimere una maggioranza abbastanza coesa alternativa al RN.

Si prospetterebbe così la necessità di un “governo tecnico del presidente” in vista di un nuovo voto (possibile non prima di un anno) e di una progressiva ricostruzione politica al centro capace di assorbire l’onda lepenista e confinarla in una posizione di minoranza; anche se – va detto – negli ultimi anni è  accaduto esattamente il contrario.

Incognite, incertezze, speranze e malumori che domenica sera avranno in pochi minuti una loro risposta, anche se le possibilità di vittoria per Marine Le Pen sembrano assottigliarsi rispetto a domenica; salvo, ovviamente, clamorosi colpi di scena.

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