Le elezioni francesi si sono chiuse e ieri gli investitori sono tornati a comprare le obbligazioni governative transalpine e l’euro. Questo è avvenuto anche se non è ancora noto chi sarà il prossimo Primo ministro e quale forma prenderà la coalizione di governo; l’incertezza di questi giorni e delle prossime settimane per ora non spaventa gli investitori.



Giovedì scorso, quattro giorni prima del secondo turno, la banca d’affari americana Morgan Stanley consigliava agli investitori di comprare “Francia” ed “Europa” prima dei risultati. Gli analisti che hanno redatto il report spiegavano che “i due rimanenti scenari elettorali, nessuna maggioranza e maggioranza assoluta di RN, sarebbero stati alla fine seguiti da un recupero degli indici azionari francese e europei”. Nel caso di una vittoria del partito di Marine Le Pen, si scommetteva probabilmente su una “melonizzazione” del partito di destra francese. Nell’altro caso, nessuna maggioranza, l’elemento decisivo era la “non vittoria” della sinistra e in particolare di Melenchon.



Il debito e il deficit pubblico francesi sono al centro dell’attenzione e continueranno a esserlo, in buona compagnia, nei prossimi mesi e trimestri. Macron era garante di un percorso di rientro del deficit che in Francia è politicamente difficile, ma l’equilibrio all’interno dell’Assemblea nazionale è meno favorevole al Presidente. La reazione dei mercati di ieri assume implicitamente che le richieste di maggior deficit e spesa della sinistra vengano accontentate senza far preoccupare troppo i mercati o senza che deficit e debito vengano impattati eccessivamente.

Si può assumere che si possa trovare un accordo in cui viene contemplata una tassa sui grandi patrimoni o sui grandi redditi e magari, a supporto dei titoli di stato, qualche incentivo, più o meno spontaneo, alla sottoscrizione di titoli di stato di Parigi da parte dei francesi. In questo caso il contenimento del deficit verrebbe ottenuto, a fronte di maggiore spesa, con un aumento delle tasse sui “ricchi” mentre il risparmio francese supporterebbe il valore delle obbligazioni governative.



Questo potrebbe essere uno scenario da verificare nei prossimi mesi quando si capirà quanto sia disposta a scendere a compromessi la sinistra; in Europa, poi, la Francia trova una Germania all’angolo e molto meno disposta a finanziare il deficit altrui. Qualsiasi forma di tassazione sui grandi patrimoni e qualsiasi forma di repressione sul risparmio rischia però di causare volatilità. I mercati dei capitali non sono quelli degli anni ’70 e i risparmi possono circolare molto più fluidamente di quanto non accadesse allora. La Francia, dopo la Brexit, ha scalato le classifiche dei mercati finanziari dell’Unione diventando il punto di riferimento dell’Europa orfana di Londra. Questa ambizione non si concilia con provvedimenti “repressivi” per quanto eticamente giusti.

Nell’immediato il rischio di una Francia governata da una sinistra impegnata a contenere i tagli è scongiurato e questo per il momento basta per investitori proiettati su quello che accadrà a Washington a novembre. La questione però non è risolta, perché l’Europa chiede il rientro del deficit e la forma di questo rientro non è un dettaglio per i mercati. Nel frattempo qualsiasi fase critica sposterà l’attenzione degli investitori sulla Francia e il suo Governo instabile.

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