La conclusione del lungo mandato di Angela Merkel quale cancelliera della Repubblica federale di Germania è occasione per riflettere sulla sua legacy (eredità, ndr). A tal fine vari commentatori hanno individuato differenti aspetti salienti della politica del Governo Merkel.

Tra i moltissimi temi che possono essere presi in considerazione (ad esempio, la politica interna alla Germania, il rapporto tra Germania e l’Europa, il rapporto tra Germania e Russia e con le principali potenze globali) si vuole qui affrontare un tema puntuale, cioè l’eredità di Angela Merkel rispetto al processo di integrazione europea. Tale aspetto, se affrontato dal punto di vista del diritto dell’Unione Europea, acquista una particolare rilevanza per comprendere l’eredità che Merkel lascia per il futuro dell’Unione.



Infatti Merkel ha affrontato e orientato, quale capo di Governo tedesco, la soluzione delle due più importanti crisi che l’Unione Europea, nel giro di pochi anni, ha dovuto affrontare; cioè la crisi istituzionale dell’Eurozona (2009-2013) e la crisi economico finanziaria conseguente alla pandemia (iniziata nel 2020 e ancora aperta).



Certamente, durante i sedici anni del suo manato, Merkel ha affrontato altre crisi e situazioni di tensione all’interno dell’Unione (tra le tante, in particolare quelle derivanti dalle migrazioni). Nessuna di queste è stata però tale da rendere necessaria la modifica dei Trattati (come nel caso della crisi dell’Eurozona) o che ha reso necessarie decisioni rilevanti come quella sulle “risorse proprie” presa dal Consiglio europeo all’unanimità nel 2020, poi recepita dai singoli Parlamenti degli Stati membri, e che ha permesso la nascita del programma Next generation Eu.

La modalità sul come risolvere le due crisi sopra citate è relativamente nota.



Riguardo alla crisi dell’Eurozona, crisi che ha la sua origine nella situazione di squilibrio economico-finanziario dei bilanci di alcuni Stati membri, la Germania di Angela Merkel si è opposta a qualsiasi forma di emissione di debito europeo. Essa, in buona sostanza, ha accettato il rafforzamento della governance della moneta unica solo dopo il veto posto dall’Italia nel Consiglio europeo del 28 giugno 2012 a seguito del quale la Bce di Mario Draghi ha potuto emanare il programma noto come “Whatever it takes”. In ultima istanza, gli Stati membri – e tra questi la Germania – a fronte delle crisi dell’Eurozona sono intervenuti prevedendo modifiche ai Trattati e creato istituzioni solo nei limiti in cui questo fosse essenziale per evitare il “fallimento” certo di alcuni Stati membri e quindi il collasso dell’Eurozona, del mercato interno e del processo d’integrazione per come conosciuto nel XX secolo.

Riguardo alla pandemia del Covid-19, il governo di Angela Merkel ha organizzato insieme alla Francia nel maggio 2020 l’istituzione del programma Next Generation Eu. Questo si caratterizza, in apparente contraddizione con la soluzione della crisi dell’Eurozona, proprio per la creazione di debito pubblico europeo al fine di permettere la nascita di un programma organizzato tramite il principio di solidarietà (articolo 122 Tfue) che fosse stimolo dell’economia degli Stati membri pregiudicati dalla pandemia. In altri termini gli Stati, in primo luogo la Germania, hanno deciso di istituire un programma al fine, in buona sostanza, di evitare rischi non molto distanti da quelli della crisi dell’Eurozona, evitando cioè il possibile “collasso” economico di alcuni Stati membri e – a fronte di un effetto domino –, del “collasso” del mercato interno nel suo complesso e, più generalmente, del processo d’integrazione europea come iniziato nel XX secolo.

La modalità di risoluzione di tale crisi, in buona sostanza orientato dalla Germania a guida Merkel, è tanto più importante in quanto ha permesso di comprendere concretamente cosa sia l’Unione Europea e quale sia il suo obiettivo. Infatti fino alle due crisi sopracitate l’Unione era “vista” come un ente che procede per modifiche incrementali nel solco del “paradigma” delle costituzioni statali; in qualche modo secondo il processo che avrebbe dovuto portare al “Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa” (2004), Trattato mai entrato in vigore in quanto “affondato” dai referendum negativi in Francia e in Olanda.

Differentemente, le soluzioni delle due concrete crisi sopra richiamate hanno chiarito che l’Unione non costituisce un ente che si inserisca in un generale “paradigma costituzionale”. Diversamente l’Unione si caratterizza come “comunità di destino” tra i popoli dell’Unione e presenta due principali e ben concreti obiettivi: la garanzia della stabilità politica dei singoli Stati membri (e quindi del continente europeo), e l’aumento della qualità della vita dei cittadini europei all’interno dei singoli Stati membri; tutto questo nel contesto di valori comuni. Questo è in buona sostanza quanto espresso all’articolo 3 del Trattato Ue.

Ci si potrebbe domandare se la soluzione di queste due crisi avrebbe potuto essere differente – in particolare quella dell’Eurozona – nel caso in cui non fosse stata Angela Merkel a capo del Governo tedesco. Tale quesito è tanto più attuale a fronte del risultato delle elezioni politiche tedesche della scorsa domenica, soprattutto nel caso in cui Olaf Scholz dovesse divenire cancelliere. Lo stesso Scholz, infatti, in qualità di ministro dell’Economia del Governo Merkel, ha proposto negli scorsi anni soluzioni radicalmente differenti rispetto a quelle che poi il Governo Merkel ha attuato, ad esempio tanto con riferimento al “fondo salva Stati” (Mes), quanto con riferimento all’evoluzione dell’Unione bancaria.

In altri termini i futuri sviluppi della politica tedesca saranno interessanti al fine di valutare se le scelte operate durante le citate due crisi sono state conseguenza delle impostazioni politiche ed intellettuali di Merkel o se, più in generale, queste sono state conseguenti alla natura dell’Unione Europea, un ente istituito da Stati (formalmente) sovrani e come tali disposti a limitare la propria sovranità solo nei limiti in cui ciò sia nel proprio interesse nazionale.

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