Sarà la Spd a cercare di formare un’alleanza in grado di governare in Germania. Olaf Scholz, il candidato socialdemocratico alla cancelleria, ha escluso un patto con la Cdu-Csu, dunque dovrà parlare con i Verdi e i Liberali di Fdp. Le trattative verranno seguite con interesse anche negli altri Paesi europei, visto che senza Berlino diventa impossibile prendere decisioni importanti per il futuro dell’Ue. Scholz ha comunque detto che “nessuno deve cercare di dominare l’Unione Europea”, “ci deve essere una buona collaborazione fra nord e sud, est e ovest.



L’Ue deve crescere insieme e faremo in modo che l’Europa cresca meglio insieme”. Cosa potrà succedere su un dossier importante come quello relativo alle regole del Patto di stabilità? Ne abbiamo parlato con Sergio Cesaratto, professore di Politica monetaria europea all’Università di Siena e autore di Sei lezioni sulla moneta. La politica monetaria com’è e come viene raccontata (Diarkos) in uscita nelle librerie.



Professore, entro fine anno dovrebbe riprendere il confronto sul futuro del Patto di stabilità. Cosa ci dice in merito l’esito del voto tedesco?

In campagna elettorale di Europa i partiti tedeschi han discusso poco. L’Europa non è infatti in cima alle preoccupazioni della cittadina tedesca media – non solo della famosa Schwäbische Hausfrau, la casalinga sveva. Perché lo dovrebbe essere? Ella è mediamente europeista in termini di spirito di amicizia, ma il tema dei quattrini è meglio non toccarlo, che ciascuno risolva i propri problemi a casa sua. Sono da biasimare? E perché? Chiaro che una ristretta élite del Paese ben conosce le problematiche europee, e le nostre. La maggior parte di questa élite ritiene tuttavia, e in maniera trasversale, di dover rappresentare i sentimenti del tedesco medio, ed è quindi contraria a rivedere i patti di stabilità. Una qualche pallida apertura la si poteva avere con un governo rosso-rosso-verde, ma la Linke è andata maluccio e in fondo anche i Verdi non han brillato, almeno rispetto alle aspettative della primavera. Inoltre i liberali dell’Fdp sono l’ago della bilancia, probabilmente più favorevoli alla coalizione Giamaica (nero-giallo-verde) con Cdu-Csu e Verdi che a quella semaforo (rosso-giallo-verde) con socialdemocratici e verdi. L’Fdp è molto ferma sul ritorno al rigore fiscale e nella Cdu-Csu non sono teneri.



Otto Paesi rigoristi prima dell’ultimo Eurogruppo hanno ricordato l’importanza di ridurre disavanzo e debito/Pil in tutta l’Ue. Non certo un buon segnale. Bisogna preoccuparsi?

Se si parte con l’idea che non si vede perché dovremmo attenderci solidarietà da parte dei Paesi che si trovano in situazioni economiche diverse dalla nostra, allora non ci si dovrebbe preoccupare. O meglio, ci si dovrebbe preoccupare di attrezzarci a una battaglia in Europa in cui la nostra posizione di debolezza è nei fatti un punto di forza: che fate, ci fate saltare? Ma lei vede segni di un dibattito approfondito nel Paese su quali riforme l’Italia dovrebbe proporre? Siamo su un generico rifiuto del ritorno all’austerità. Ma le proposte da avanzare sono ben più complesse.

Per esempio?

Come impostare una politica fiscale europea che da un lato consenta ai Paesi ad alto debito come l’Italia di continuare a sostenere investimenti e domanda aggregata, e sia dall’altro accettabile per i Paesi fiscalmente rigorosi e che non intendono (giustamente) sacrificarsi per noi. Sebbene la Bce sia formalmente indipendente, essa stessa ritiene necessaria una politica fiscale europea e il suo coordinamento con la politica monetaria, per cui Francoforte può e deve essere parte della discussione. Ma il Paese, soprattutto chi (ahinoi) potrebbe trovarsi prima o poi a governare, si crogiola nelle sciocchezze anti-vax o anti-green pass. Il futuro è fosco se avremo di nuovo incompetenza e demagogia al governo. Ma anche Pd e il M5s non sembrano incentivare un dibattito informato sulle possibili proposte da portare in Europa. Certamente Draghi ci sta pensando, speriamo che presto ci riveli le sue carte. Da buon stratega non vuole probabilmente anticipare i tempi. Sarebbe compito dei partiti avviare intanto un dibattito.

È prevedibile che ci vorrà diverso tempo per arrivare alla formazione di un Governo in Germania. Nel frattempo Italia e Francia si avvicineranno ancora? Vede possibile un asse Parigi-Roma per guidare il processo di riforma della governance europea?

È noto come Parigi danzi con Roma solo quando è di malumore con Berlino. Dubito che si possa governare l’Europa monetaria senza il consenso di Berlino e satelliti; che poi sia meglio trattare posizionandoci in un fronte compatto Parigi-Madrid-Roma è ovviamente auspicabile. Ripeto, la nostra unica arma è la debolezza: cari europei, volete che si riapra la prospettiva di un’Italexit? Dopodiché impostare una soluzione accettabile per tutti non è semplice.

La Fed ha parlato già di tapering, Lagarde ha negato che la diminuzione di acquisti di titoli di stato nell’ambito del programma Pepp sia assimilabile al tapering. Quanto ci vorrà prima che effettivamente ci sia una politica meno espansiva della Bce? Con quali conseguenze per l’Italia?

Mi sembra escluso che la Bce possa mettersi a rivendere titoli di Stato. Con la ripresa in corso e un clima meno favorevole a politiche non convenzionali, una riduzione progressiva degli acquisti è tuttavia probabile. La politica dei tassi di interesse rimarrà immutata o meno a seconda se il riaffacciarsi dell’inflazione sarà o meno un fatto temporaneo. La Bce con la recente riforma della strategia monetaria si è data fortunatamente qualche margine di flessibilità. Per ciò che ci riguarda, anche a parità di tassi a breve, una riduzione degli acquisti può rivelarsi perniciosa accrescendo rischio e rendimento a lunga sui nostri titoli di Stato. Il mantenimento di un livello moderato (e addirittura negativo) dei tassi sui nostri titoli dovrebbe fare tuttavia parte (ufficialmente o meno) della trasmissione della politica monetaria della Bce, e comunque della sopravvivenza dell’euro. La Bce dovrebbe apertamente dichiarare che non tollererà pressioni ingiustificate sui tassi di nessun Paese membro. Ma è dal lato fiscale che l’Unione Europea dovrebbe contribuire riformando la propria governance, consentendo così all’Italia di stabilizzare il rapporto debito/Pil senza dover ritornare a peraltro controproducenti politiche restrittive. È un passaggio complicato, ma dovrebbe essere convenienza comune dell’Europa tenere in sicurezza i conti italiani in una condizione di crescita per dedicarsi invece a temi ben più urgenti come la definitiva sconfitta della pandemia e la crisi ambientale.

(Lorenzo Torrisi)

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