BERLINO – I risultati delle elezioni in Germania di domenica si possono riassumere in una riga: Scholz è arrivato primo (25,7%), i Verdi hanno “non vinto” (14,8%) e Laschet ha perso (24,1%; -8,8% rispetto alle ultime politiche). Tra i partiti minori i liberali della Fdp raggiungono un buon 11,5% che dà loro spinta propulsiva in vista delle trattative per formulare il governo, i Linke entrano per un soffio in Parlamento con il 4,9%, la AfD rimane ferma al 10% ormai fisiologico e si arrocca in Sassonia.
Olaf Scholz si proclama vincitore fin dal primo mattino dichiarando al mondo di aver ricevuto dagli elettori il mandato per guidare il governo. Poi, con piglio da conquistatore, assesta il colpo di grazia ad Armin Laschet commentando che “la Cdu-Csu non solo ha perso molti voti, ma ha ricevuto dagli elettori l’indicazione precisa a non far parte del futuro governo”. Quindi che si accomodi all’opposizione. Tutto risolto quindi?
Niente affatto. Tutto potrebbe essere molto meno semplice di come pensano certi stracotti politici italiani, che nel successo di Scholz s’illudono di leggere buoni auspici per sé stessi. Intanto occorre ricordare che in Germania cancelliere lo diventa chi riesce a formare una coalizione stabile di governo, e questo non deve essere necessariamente chi ha preso più voti. In quest’ottica il risultato elettorale non ha affatto risolto la questione anzi, potrebbe averla complicata.
Prendiamo il risultato dei Verdi ad esempio. Sebbene Annalena Baerbock esulti, sottolineando che 14,8% sia il miglior risultato in assoluto dei Grünen a delle elezioni politiche, esso rimane molto al disotto di quel 22% che sembrava un dato acquisito soltanto a giugno. Il ridimensionamento dei sogni verdi implica il depotenziamento della rivoluzione green che non potrà essere così radicale come sognavano i ragazzini di Greta. Paradossalmente però, la rivoluzione ridimensionata avvicina i Verdi ai liberali della Fdp, che nel sogno rivoluzionario dei Grünen vedevano un incubo di tasse e punizioni fiscali per il ceto medio.
I due partiti infatti hanno più punti in comune di quanto non sembri a prima vista: entrambi sono neoliberali in campo economico, decisamente pro mercato e pro austerity e quindi una volta messi da parte i bollori rivoluzionari, non dovrebbe essere troppo difficile accordarsi su una bozza di programma. Insieme formerebbero un blocco da 26% in grado di fare proposte concrete sia alla Spd che alla Cdu. Quest’ultima opzione avrebbe il vantaggio di negoziare con una Cdu battuta e quindi più disposta a compromessi al ribasso. Christian Lindner, il capo della Fdp, e Annalena Baerbock si stanno già lanciando segnali e sicuramente a Olaf Scholz è un po’ calato l’entusiasmo. Da qui l’attacco a Laschet, per impedire che lo sconfitto alle urne diventi vincitore alle trattative per un governo Giamaica con Cdu-Verdi e Fdp.
Inizia dunque il poker del potere. Il gran ballo dei negoziati tra Spd, Cdu, Fdp e Verdi che potrebbe durare mesi, come dopo le elezioni del 2017, o terminare subito. I due esiti più probabili sono la coalizione semaforo, Spd-Verdi-Fdp o Giamaica di cui si è detto sopra. In ogni caso, se i Verdi e la Fdp siglassero un accordo chiaro e ben strutturato, strapperebbero il pallino di mano a Olaf Scholz e occuperebbero il centro della scacchiera. E il gioco sarebbe ancora più interessante se la AfD non avesse fatto di tutto per autoghetizzarsi in Sassonia.
Ma al di là dei giochi di potere, il voto riflette la confusione dell’elettorato tedesco che desidera sì cambiamenti in campo sociale e ambientale, però non troppo. Non tali almeno, da pregiudicare quel benessere che si percepisce sempre più a rischio e che si vorrebbe difendere a ogni costo. Ma in mancanza di un partito in grado di farsi carico dei timori legati a ciò che succederà quando termineranno le agevolazioni fiscali e i sussidi elargiti per l’emergenza pandemica, alle incertezze legate alla gestione dei flussi migratori e a cosa accadrà al commercio internazionale sotto i colpi delle spinte inflattive, di cui si intravedono le prime avvisaglie, l’elettore tedesco ha sparpagliato il suo voto come un giocatore alla roulette che punta su più tavoli, nella speranza che da qualche parte esca la combinazione giusta. E non è detto che sia Olaf Scolz a lanciare il pallino.
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