A Hong Kong netta vittoria del fronte anti-cinese nelle elezioni che si sono tenute domenica per il rinnovo dei 18 consigli distrettuali. I democratici hanno infatti ottenuto uno schiacciante 90% di consensi, conquistando 396 seggi sui 452 in palio. Rispetto al 2015 il fronte pro-establishment ha perso addirittura 240 seggi. Secondo il governatore Carrie Lam, questo successo sembra “riflettere la disaffezione della gente per l’attuale situazione e i profondi problemi della società”. Il governo, ha aggiunto la Lam, “rispetterà il risultato del voto” e ascolterà “con umiltà” i cittadini. Le prime reazioni da Pechino, invece, ribadiscono un concetto più volte espresso dal presidente Xi Jinping: “Hong Kong è parte integrante della Cina, a prescindere dal risultato elettorale”. Per capire come potrebbe evolvere la situazione a Hong Kong e nell’area del Sud-Est asiatico, abbiamo interpellato Francesco Sisci, a lungo corrispondente dalla Cina e collaboratore di Asia Times.
Il consenso alle forze anti-governative è stato schiacciante. Queste elezioni come possono cambiare lo scenario?
Intanto è importante che si siano svolte e che Pechino non le abbia rinviate, come si era ventilato in un primo momento. Pechino, poi, aveva in mano sondaggi accurati e sapeva che cosa sarebbe accaduto. E la reazione del governatore Carrie Lam ci dice che c’è una volontà di ascoltare e adeguarsi.
E ora?
Ora si apre una fase molto delicata. Il 15 gennaio si terranno le elezioni presidenziali a Taiwan e il presidente, la signora Cai Yingwen, è di gran lunga in testa nei sondaggi. La Cai rappresenta le posizioni più antagoniste con Pechino. Sei mesi fa, prima delle proteste a Hong Kong, era data quasi per sconfitta, ma proprio le proteste di Hong Kong l’hanno aiutata. La Cina oggi sa che una posizione dura non sarebbe d’aiuto, quindi sta cercando una mediazione. Vedremo cosa potrà succedere già nelle prossime settimane.
Quanto ha pesato l’appoggio del Congresso americano ai dimostranti sull’esito del voto a Hong Kong?
Certo ha pesato, ma è stato così determinante? È stato decisivo? Non credo. I problemi di Hong Kong hanno radici profonde, sono complicati e non sarebbero potuti nascere se solo partoriti a Washington. Pensare che l’America sia capace di ordire tutto questo è credere che l’America sia onnipotente.
Usa e Cina sono impegnate su più fronti: d’ora in poi le posizioni si ammorbidiranno oppure potremmo tornare a vedere nuovi bracci di ferro tra i due giganti?
Oggi Trump è debolissimo e si indebolisce di giorno in giorno. La Cina come può stringere un accordo con Trump, sapendo che potrebbe essere ricusato il giorno dopo visto che il presidente americano può essere costretto alle dimissioni per impeachment o perché non viene rieletto? Questo, da parte cinese, è l’ostacolo maggiore a un accordo: oggi non c’è una vera controparte americana. È comunque possibile che qualcosa si faccia, per prendere tempo, ma si tratterà di un micro-accordo.
Il governatore Lam ha commentato: “Ascolteremo con umiltà le opinioni dei cittadini”. Che cosa significa? Che ruolo può giocare Carrie Lam?
Lei riveste un ruolo difficilissimo: finora non si è comportata in modo eccelso, ma nemmeno pessimo. Ritengo che sia una persona perbene e ora ha il compito ingrato di cercare una mediazione. Non sarà facile, perché tutti hanno i nervi tesi.
“Qualunque cosa accada, Hong Kong fa sempre parte della Cina e ogni tentativo di creare caos o mettere a repentaglio prosperità e stabilità non avrà successo”. Così si è espresso il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi. La Cina esce indebolita? E come reagirà dopo questo voto?
In realtà la Cina gioca questa battaglia su due fronti. Uno è quello di Hong Kong, dove ha evidentemente perso. L’altro è quello interno, dove sta vincendo.
Non è una contraddizione?
Le proteste “per Hong Kong” e “contro la Cina” irritano la maggioranza dei cinesi. A Shenzhen, a Zhuhai, ma anche a Macao, dove c’è libero accesso alle informazioni di Hong Kong, non si è registrato il minimo segno di contagio della protesta e non si è manifestata alcuna solidarietà con gli hongkonghesi. Inoltre, noi vediamo la violenza della polizia, ma in Cina vedono la violenza dei dimostranti, che oggettivamente usano armi letali, bombe molotov, archi e frecce. Altre polizie in altri paesi forse sarebbero intervenuti con maggiore violenza. Quindi in Cina la risposta delle autorità di Hong Kong appare misurata, controllata, ragionevole, anche troppo. Ecco perché Pechino sta vincendo sul fronte interno, quello che conta di più per un paese con 1,4 miliardi di persone. Si tratta, poi, di non perdere comunque Hong Kong e l’attenzione globale.
Giappone e Taiwan hanno invitato la Cina ad accettare la volontà popolare. Sono prese di posizione che possono creare nuova instabilità nell’area del Sud-Est asiatico, vista anche la presenza della Corea del Nord?
Che significa, in concreto, accettare la volontà popolare? Questo lo si dovrà vedere nelle prossime settimane.
Ue e Italia hanno finora mantenuto una posizione defilata. Alla luce di questo voto è opportuno che cambino posizione?
Sarebbe opportuno che si agisse con cognizione di causa. Il governo italiano ce l’ha? E il nostro ministro degli Esteri? Forse non sarebbe opportuno avere un altro ministro?
(Marco Biscella)