L’immigrazione è un fenomeno relativamente recente nell’esperienza italiana. Nel 1980, proposi un libro su questo tema a un noto editore di Bologna; ebbi un diniego con la spiegazione che non avrebbe interessato nessuno. Venne pubblicato in lingua inglese dal Deutsches Orient-Institut di Amburgo. Il libro era il frutto di un anno di sabbatical leave dalla Banca Mondiale, passato in parte insegnando e in parte associato a un progetto di ricerca dell’Istituto Affari Internazionali e del Deutsches Orient-Institut, finanziato dalla Fondazione Ford e altri istituzioni, sulle relazioni economiche e sociali tra Paesi ad alto reddito e Paesi a basso reddito del bacino del Mar Rosso.
Il mio interesse nell’immigrazione risaliva ad alcuni anni prima quando all’inizio degli anni Settanta ero un giovane direttore di divisione in Banca Mondiale. Avevo distaccato, per la supervisione dei progetti, parte della divisione a Nairobi, che visitavo periodicamente e dove avevo stretto buoni rapporti con l’Institute of Development Studies dell’Università dove allora lavoravano fior di giovani economisti come Stiglitz, Harris, Todaro, Jolly.
Allora in Kenya, e in gran parte dell’Africa, un tema centrale di dibattito, non solo accademico ma anche politico, erano le migrazioni dalle aree rurali alle città. Ai tavoli di The Lobster Pot e Chez Jacques, due noti ristoranti della Nairobi dell’epoca, nacque il teorema Harris-Todaro pubblicato sull’American Economic Review e che è ancora di riferimento per gli studi sulle “migrazioni economiche”, ossia di quelle motivate dal desiderio di “una vita migliore”; se sull’arco dell’intera vita, anche tenendo conto dei periodi di disoccupazione e di estremo disagio, il tasso di rendimento della decisione di emigrare supera il tasso di rendimento economico generale (oppure quella di una vita passata nel villaggio natio) conviene fare i bagagli e partire. Il bacino del Mar Rosso pareva un caso ideale di studio regionale dato il rapido aumento dello sviluppo e dei redditi dei Paesi produttori di petrolio mentre altri, a loro vicini, si impoverivano. Uno studio parallelo, e più vasto, veniva condotto in quel periodo dalla Università di Duran.
Ho continuato a lavorare su questi temi alla fine degli anni Ottanta-inizio anni Novanta come membro della Commissione Jacques Hutzinger, creata dal Governo francese per rilanciare il ruolo dell’Unione Europea (che guardava con grande insistenza all’Est) nel Mediterraneo, dove l’immigrazione da Paesi a basso reddito e Paesi ad alto reddito era in rapida crescita. La conclusione della Commissione fu, come quella degli studi citati in precedenza, la necessità di un approccio “cooperativo” tra Stati di partenza e Stati di arrivo.
In Italia, il fenomeno migratorio, sconosciuto o quasi sino all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso ha assunto negli ultimi trent’anni una dimensione sempre più ampia, considerando anche e soprattutto le crisi economiche internazionali. Infatti, l’aggravarsi delle condizioni di vita nei Paesi di origine rappresenta una delle cause principali alla base di tale fenomeno, come previsto dal teorema Harris-Todaro.
Oggi l’Italia risulta un Paese di immigrazione e una zona anche di transito per flussi migratori imponenti. L’Italia, infatti, rappresenta, insieme con Germania, Gran Bretagna Francia e Spagna, uno dei cinque Paesi con maggiore concentrazione di popolazione straniera. Negli ultimi anni la crescita demografica che ha interessato il nostro Paese è stata alimentata principalmente dalla componente straniera; la popolazione italiana si mostra sempre più orientata alla multietnicità. Analizzando la distribuzione per età, si evidenzia che la popolazione straniera minorenne risulta pari al 20,2% del totale; gli ultra 65enni si fermano al 4,4%. I nati stranieri nel 2018 sono stati 65.444 e rappresentano il 14,9% dei nuovi nati nel nostro Paese. Gli studenti stranieri nelle scuole italiane sono oltre circa un milione. La distribuzione degli stranieri sul territorio nazionale risulta disomogenea: il 57,5% risiede nell’Italia settentrionale (il 33,6% al Nord-Ovest e il 23,9% al Nord-Est), il 25,4% al Centro, solo il 17,1% nel Mezzogiorno (12,2% al Sud e 4,9% nelle Isole). I disoccupati stranieri sono circa 400mila, con un tasso di disoccupazione del 14%. Le imprese gestite da residenti stranieri sono quasi 700mila. I titolari stranieri di imprese provengono soprattutto da Marocco, Cina e Romania. L’incidenza dei matrimoni misti sul totale dei matrimoni in Italia è del 9%.
Si potrebbe continuare a lungo con una descrizione: esistono studi periodici dell’Istat e di istituti di ricerca come l’Eurispes. In breve, mentre gran parte degli altri Paesi hanno avuto decine di anni per prepararsi all’accoglienza dei migranti e assorbirli nel loro tessuto sociale, l’Itala deve fare tutto e subito con l’aggravante di essere uno dei Paesi più esposti, se non il più esposto, nel Mediterraneo dove gommoni, barche e anche navi di immigranti (spesso illusi da trafficanti senza scrupoli) possono attraccare.
La soluzione ideale sarebbe a livello europeo: che gli Stati dell’Ue si ripartissero l’onere dell’accoglienza. Non sembra, però, che sia accettabile per gran parte degli Stati membri: l’Italia la propone senza esito da circa dieci anni e non trova neanche il supporto di Stati mediterranei come Francia, Portogallo e Spagna.
La proposta nel programma del centrodestra è molto simile a quelle degli studi internazionali di diversi anni fa: le selezione (ad esempio, se il migrante è un rifugiato politico o economico, capacità si ambientazione/adattamento) venga fatta in loco (in cooperazione tra ambasciate, consolati e autorità locali), eliminando (con penalità pesanti) intermediari e trafficanti. La proposta potrebbe essere ampliata. Prevedendo commissioni miste per la selezione e il finanziamento da parte del Fondo europeo di sviluppo (Fes) delle infrastrutture necessarie (hot spot, campi di attesa). In questo modo, si giungerà a immigrazione utile all’Europa (soprattutto a quei Paesi la cui forza lavoro sta diminuendo) e ai Paesi di provenienza (gli accordi potrebbero prevedere incentivi a vie legali per le rimesse, evitando intermediari vari).
La proposta è, quindi, migliorabile. Prima di attaccarla e di accusarla di varie pecche, il centrosinistra tenga presente che è molto simile alle proposta e alla politica tentata nel 2015-2018 da un loro esponente di spicco, Marco Minniti, quando era ministro dell’Interno.
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