ELEZIONI IN FRANCIA 2024 – Le legislative francesi del 30 giugno e del 7 luglio non decideranno una storia che, in realtà, è già scritta. Anche se riuscisse a spuntarla sul giovane Jordan Bardella e la sua madrina Marine Le Pen, un qualsiasi rassemblement di sinistra-centro avrà comunque dinanzi a sé una Francia logorata da mesi di protesta popolare ed alla quale finora non è stata data una risposta.



Al problematico quadro interno, quel rassemblement dovrebbe mettere sulla propria agenda un’Europa logorata da un conflitto che dura da due anni e che, per di più, vede quest’ultima ben lontana dal poter esercitare un qualsiasi ruolo chiave nel nuovo quadro geopolitico internazionale.

La sconfitta di Macron – come quella di Scholz in Germania del resto – ha colpito quello che doveva essere un progetto di rinascita e di ripresa. Macron aveva ritenuto di poter mobilitare delle forze nuove, anche dal punto di vista generazionale, che avrebbero dovuto infondere fiducia ed energia. Pertanto, ad essere stata sconfitta dalle elezioni europee non è stata solo una personalità politica con le proprie qualità e le proprie personali visioni dello sviluppo, ma molto di più. Ad essere stato messo in crisi è stato in realtà un progetto che avrebbe dovuto rispondere alla crisi: non quindi una proposta ma già una risposta.



Il giudizio che è apparso alle europee ha riguardato quindi un progetto di rilancio, un atto di fiducia già proposto e del quale si sono percepiti perfettamente i costi, ma non si sono minimamente intravisti i vantaggi (per quanto le operazioni di maquillage mediatico e le ristrutturazioni olimpioniche del centro di Parigi per la propria auto-celebrazione si siano sforzate di mostrarlo).

Il game over dichiarato da Macron con lo scioglimento dell’Assemblea indica pertanto il chiaro logoramento di chi si è già impegnato con tutte le sue forze e, proprio per questo, è pronto a sbattere la porta, provocando i francesi a formulare una “parola chiara” dalla quale desidera essere di nuovo investito, di nuovo incoronato.



Può farcela? Può convivere con una destra che, comunque vada, costituirà una spina nel fianco nella nuova Assemblea ed avrà dalla sua quella che il generale de Gaulle chiamava “la Francia profonda”? Personalmente non lo credo.

Da tempo la crescita delle destre, per quanto le riguarda, non è più la pura reazione ad un mondo che cambia. Non è l’esito di un particolarismo periferico, magari nevrotico, che sceglie la tradizione rispetto al mutamento, la restaurazione rispetto al rinnovamento, la voglia di permanere anziché quella di cambiare. A differenza della destra puramente reazionaria di Jean-Marie Le Pen degli anni Ottanta, che rivendicava “la Francia ai francesi” – come se l’unico problema fosse la concorrenza sul mercato da parte della manodopera africana –, questa destra rappresenta qualcosa di molto più vasto rispetto all’inutile e disonorevole razzismo del folclorico Jean-Marie.

Il problema non sono più gli immigrati e la loro concorrenza sul mercato del lavoro, ma il rarefarsi di una Francia dotata di una sostanza sociale e culturale capace di infondere fiducia ed autorevolezza. Lo stesso ordine pubblico infatti, non è oramai solo una questione di periferie bollenti da controllare, ma anche – e forse soprattutto – quello di un’identità che non è più condivisa, di un universo socio-culturale che non si presenta più all’appello. La stessa ossessione dei nuovi diritti, con l’aborto nella Costituzione e il suicidio assistito a portata di mano, sdoganano il soggetto, non una collettività; fondano l’io autoreferenziale, non quello collettivo; riconoscono solo le mille individualità in libertà, sancendo nello stesso tempo il tramonto di un progetto condiviso. Come se potesse realmente esistere un “io” che non sia in una relazione densa di significato con gli “altri”.

Si tratta quindi di una Francia che non dice più il suo nome, non specifica che cos’è e cosa rappresenta, quali speranze possa alimentare che non siano solo quelle di una soggettività senza ancoraggi.

La stessa Parigi esprime sempre di più la facciata di una gigantesca scatola per turisti, un vero e proprio Barnum commerciale al quale resistono solamente i musei, le librerie e le chiese gotiche: altrettante realtà che possono vivere solamente se ci sono amanti dell’arte e della storia, lettori appassionati e credenti mossi dal Quaerere Deum.

Negli anni i problemi si sono sommati e dal mercato del lavoro hanno invaso il sistema pensionistico e quello dell’assistenza sanitaria. Ma le criticità hanno colpito anche il sistema educativo, che vede generazioni sempre più attratte dall’universo mediatico e fatuo dei social e sempre meno da un’eredità che appare loro illeggibile e non attraente. I problemi hanno invaso anche il legame sociale. Per intere fasce sociali e generazionali alla letizia ordinaria delle relazioni quotidiane è subentrata una reciproca indifferenza, dove ciascuno vive nella propria bolla relazionale.

Il problema oramai non è più quello di creare un progetto, ma di ricostruire un’identità di cuore e di storia. Tanto più importante quanto più non si fa parte delle élites, non si frequentano i Club Med e non affollano le agenzie di Nouvelle Frontières, ma si vive di lavoro, metropolitana e panchine dei parchi pubblici.

È questa fame di senso e di unità morale che alimenta i voti della nuova destra. E se “nessun sazio crede mai a chi abbia digiunato”, è abbastanza improbabile che le diverse élites che varcano costantemente i confini nazionali alla ricerca dei paradisi esotici ed hanno nel weekend settimanale il loro principale punto di riequilibrio, se ne possano rendere conto.

Una simile diagnosi non dà molte possibilità nemmeno alla destra puramente razzista e xenofoba di riuscire nell’intento. Non si recupera con facilità un mondo così deteriorato limitandosi a sventolare il tricolore. Una destra che si limitasse al vecchio e logoro “La France aux français” non può che restare minoritaria.

Tuttavia se la destra di Marine Le Pen, Jordan Bardella e Marion Maréchal macina consensi è proprio perché un tale limite è stato francamente rimosso o almeno, quanti la votano, credono sinceramente che ciò si sia prodotto. La condizione della vittoria per questa destra in ascesa è, paradossalmente ma non troppo, quella di non rappresentare più sé stessa ma la nazione in quanto tale. Recuperando la storia e la memoria di quest’ultima. Riuscendo soprattutto ad inglobare anche quanti, amando la propria storia nazionale e la propria identità culturale, di destra non sono mai stati né sentono il bisogno di diventarlo.

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