La Macronie era in crisi da tempo. E dopo il risultato delle europee, il rifiuto degli elettori francesi nei confronti del loro presidente e dei suoi governi è diventato talmente evidente da spingere lo stesso Macron a indire nuove elezioni politiche. Un voto che molto probabilmente consegnerà la Francia a Marine Le Pen e al suo delfino Bardella, fautori di una destra ostile all’immigrazione, ma anche intenzionata a intervenire in modo più deciso su temi quali il carovita, la violenza, il lavoro, su cui Macron non ha saputo individuare soluzioni concrete. Se il voto del 30 giugno e 7 luglio confermerà, come sembra scontato, l’orientamento dei francesi (che alle europee hanno premiato il Rassemblement National con il 32% lasciando il partito di Macron al 14,9%), la destra andrà al governo. Una novità, spiega Francesco De Remigis, già corrispondente da Parigi ed esperto di politica internazionale per Il Giornale, che potrebbe influire anche sulle decisioni relative alla composizione della nuova Commissione UE, aprendo nuovi rapporti fra Italia e Francia.



Il Rassemblement National stravince e come da previsioni raddoppia i voti di Macron. Quali sono i motivi della sconfitta del presidente: l’immigrazione, la controversa riforma delle pensioni, la gestione della guerra?

Era una bomba a orologeria che covava da tempo sotto l’Eliseo. Ma nella Macronie si è sempre negata l’evidenza, nonostante i segnali locali, le piazze e i sondaggi. Le posizioni dell’Eliseo sulla guerra sono state forse l’innesco definitivo, ma a stancare i francesi sono state, credo, più le mancate ricette del governo, nonostante il cambio a gennaio con un nuovo premier dopo l’ennesima crisi. Più semplicemente, è stata bocciata l’idea alla base della Macronie, quel dichiararsi né di destra né di sinistra, oscillare, prendere tempo, discutere a oltranza senza mai cambiare davvero le cose. Salvo qualche piccolo successo, si è accumulata stanchezza per la sua proposta irrisolta.



La sua leadership europea è fallita?

Credo che sia stato considerato deludente anche il suo operato in ambito europeo. Apparire decisionista non basta se poi si torna a discutere per mesi e mesi le stesse problematiche, dall’energia al carovita, dalla benzina al lavoro, fino ai problemi degli agricoltori come in un eterno gioco dell’oca. Penso anche alla scuola, alle violenze crescenti per le strade, e soprattutto al tema della sicurezza irrisolto in molte città di Francia, nonostante gli annunci.

Come mai Macron ha deciso di andare al voto in tempi così brevi? Ha una strategia per arginare la destra o è rassegnato alla sua vittoria?



Rassegnato? Macron, mai. È un lottatore. Pratica judo, gli piace stare sotto pressione. Ma stavolta è in gioco la sua parabola politica. È stato un terremoto che ha colpito anche la Borsa di Parigi. Da astro nascente è passato ad essere considerato il freno di una Francia che non cresce abbastanza e accumula debito, questa è l’impressione di milioni di francesi che vorrebbero vederlo già in pensione. Almeno nella percezione di moltissimi cittadini.

I socialisti hanno ottenuto un buon risultato. La sinistra unita può rappresentare un’alternativa alla Le Pen?

Difficile, ieri sono tornati a parlarsi quattro compagini. Stesso tavolo. Dai socialisti ai comunisti, dai verdi fino alla France Insoumise di Mélenchon. Che però, da leader indiscusso della sinistra alle scorse elezioni, oggi rappresenta il vero ostacolo al dialogo fra le parti, per non parlare delle diversissime posizioni tra i socialisti e la sinistra radicale sulla guerra in Ucraina, che il Ps sostiene al pari di Macron, mentre gli altri tollerano a fatica gli aiuti; o le diverse visioni su Hamas nella guerra a Gaza. Per i mélenchonisti sono resistenti, per i socialisti sono terroristi.

Il Rassemblement National, al di là del consenso elettorale, è pronto a governare? Macron pensa di metterlo alla prova perché crede che non riuscirà a farlo?

Macron tende a sottovalutare troppo i lepenisti. Loro hanno sempre tirato dritto, e dal 2022 guadagnano consensi in varie città, nelle amministrazioni, dando prova di capacità di ascolto e operativa. Come hanno raccontato svariate inchieste, perfino alcuni pezzi dell’élite francese si sono avvicinati a loro, incuriositi. Si sono piazzati in testa nel 93% dei comuni, e ora, grazie a Macron, sono alle porte del potere.

Come cambierebbe la Francia con la Le Pen al potere, dal punto di vista interno e in politica estera?

Sul piano interno, stanno scrivendo il programma in queste ore. Ma secondo il ministro dell’Economia Le Maire, il loro programma economico è il più marxista che sia mai stato proposto in Francia da circa quarant’anni. Lo ha detto giusto alla vigilia del voto europeo. In attesa di nuovi aggiornamenti, su carta, è dura non vedere il lavoro fatto in prospettiva di governo. Poi può piacere o meno, ma investendo sul giovane Bardella, Le Pen ha dato il colpo di grazia all’operazione “diabolisation” che destra e sinistra hanno sempre messo in campo contro di lei. Ora l’impressione è che i francesi, avendo provato tanto la destra neogollista quanto la sinistra socialista, e perfino l’ibrido liberale Macron, abbiano voglia di sperimentare le proposte lepeniste. Vedremo quali proporranno nei prossimi venti giorni…

A Bruxelles le forze europeiste restano la maggioranza, ma quanto inciderebbe avere una delle nazioni fondamentali della UE in mano a una destra che europeista non è?

L’Europa senza la Francia, o senza l’Italia, semplicemente non esiste. Bruxelles non avrebbe altra via che ascoltare alcune istanze che vengono da una Parigi guidata da Macron dall’Eliseo, ma governata dall’identitaria Le Pen e probabilmente pure da una parte dei conservatori francesi, con cui proprio ieri Bardella ha iniziato a parlare facendo un appello chiaro, già raccolto da Marion Maréchal-Le Pen, la nipote che da tempo ha scelto ormai il partito di Zemmour. Un successo del Rn alle politiche, in caso di maggioranza parlamentare e di coabitazione con Bardella premier, potrebbe dare un’ulteriore spinta a quel cantiere europeo di allargamento a destra, se non nella scelta dei commissari, certamente sui soggetti da trattare, ridimensionando la sua tendenza a leggere la realtà ricorrendo più alla burocrazia che alla politica e alla sua capacità d’ascolto.

Cosa potrà cambiare nei rapporti con Meloni e l’Italia?

Finora le due leader si sono reciprocamente percepite politicamente, contatti informali sono in corso da tempo. Se escludiamo le bordate da campagna elettorale, credo che il ruolo di Meloni, che di fatto è già tracciato, possa essere tra gli altri quello di decidere quali destre far sedere al tavolo che conta, vista la sua solidità post voto. E a quel punto una mediazione potrebbe far cadere anche alcuni pregiudizi su Le Pen, anche a Bruxelles. Certo, Le Pen dovrebbe rinunciare non solo ai toni talvolta incendiari, ma ad alcune posizioni in chiaroscuro. Penso in particolare al sostegno all’Ucraina, che mi pare sia una linea rossa per la premier italiana. E plasmare meglio la sua posizione in materia di immigrazione, perché a oggi dà contro al nuovo Patto immigrazione e asilo votato invece dal governo Meloni. Il Rn non vuole migranti. Per loro l’idea di blocco navale è tuttora valida.

(Paolo Rossetti)

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