A un giorno dalle quarte elezioni elezioni in meno di due anni, Israele si trova, secondo gli ultimissimi sondaggi, ancora in posizione di stallo tanto che secondo gli analisti è facile che si vada a una quinta elezione la prossima estate. Una situazione di instabilità politica in cui Israele non si è mai trovata e da cui non sembra uscire. Secondo Filippo Landi, già corrispondente della Rai a Gerusalemme, la causa di questa situazione è l’attuale premier Netanyahu, in carica da dodici anni consecutivi, sulla cui figura sia i partiti di destra che quelli di sinistra si dividono ciclicamente: collaborare con lui o no? “Il caso più eclatante è stato quello dell’ex generale Benny Gantz, espressione della sinistra, che era riuscito a raggiungere ben trenta poltrone in parlamento ma che poi ha deciso di formare un governo proprio con Netanyahu che ha provocato l’inevitabile scissione del suo partito”. Mancano insomma, ci ha detto ancora Landi, figure capaci di sostituire Netanyahu: “paradossalmente mentre i sondaggi vedono il suo partito in crescita in vista del voto, alla domanda se vorrebbero Netanyahu ancora alla guida di Israele per i prossimi quattro anni, gli stessi elettori del suo partito dicono di no”.
C’è moltissima incertezza ancora una volta sul risultato delle quarte elezioni in meno di due anni, tanto che si parla di una quinta tornata elettorale in estate. Che cosa determina questo stallo politico che dura ormai da tempo?
Non c’è stabilità politica, a dispetto dei dodici anni di governo Netanyahu, perché le forze politiche israeliane di centro-sinistra e anche in parte di destra si dividono in modo ciclico sulla sua figura.
Ci spieghi.
È Netanyahu a creare instabilità politica perché i partiti si dividono al loro interno su questo problema: collaborare con lui oppure no? Quel che è accaduto pochi mesi fa lo dimostra in modo clamoroso. L’opposizione di centro-sinistra, che sotto la guida dell’ex generale Gantz aveva raggiunto i 30 seggi parlamentari, nel momento in cui decise di collaborare con Netanyahu mandò in frantumi il suo partito, che molti suoi esponenti accusarono di collaborare con Netanyahu dopo aver raccolto voti in un elettorato stanco di un primo ministro su cui pendono da anni indagini e richieste di processo per corruzione e abuso di ufficio.
Stando agli ultimi sondaggi il suo partito, il Likud, sta risalendo nelle preferenze degli israeliani. Cosa è che li lega a un personaggio così contraddittorio?
La maggioranza degli israeliani nei tanti sondaggi alla domanda “lei vuole Netanyahu premier” risponde di no, ma alla domanda “lei per quale partito voterebbe” dicono Likud. C’è quindi una maggioranza relativa di destra che continua a votare per il Likud, facendo una scelta contraddittoria, ma la realtà è che non ci sono persone in grado di sostituire l’attuale premier.
Quindi se Netanyahu si levasse di torno e ci fosse un vero leader in grado di candidarsi il problema israeliano sarebbe risolto?
Il problema è molto complicato e infatti tutte le figure che in questi ultimi anni si sono candidate, si sono poi rilevate incapaci. In particolare il caso più clamoroso è stato Gantz, che sembrava a un passo dal sostituire Netanyahu. Ricordiamo che c’era un pseudo-accordo politico che prevedeva la sua sostituzione dopo 18 mesi di governo; un accordo oggi completamente dimenticato, naufragato davanti alla legge di bilancio non approvata. Il punto è che in questi ultimi anni non ci sono stati personaggi politici con la statura necessaria per combattere politicamente Netanyahu.
Il partito laburista che in passato aveva espresso leader storici del paese, come Golda Meir e Simon Peres, che fine ha fatto?
Negli ultimi decenni i laburisti, che riscuotevano ancora grandi consensi elettorali, hanno dovuto gestire gravi crisi con Gaza e Hamas. Su quel terreno hanno scelto di inseguire al centro l’elettorato con atteggiamenti molto duri, ricordiamo i bombardamenti su Gaza, l’attacco terrestre. Questo ha fatto sì che si sia perso storicamente il rapporto fra centro e sinistra e che Netanyahu abbia potuto proporsi come sostenitore di una politica che poneva il rapporto con i palestinesi in secondo piano.
Come si intreccia questa situazione interna con quella estera? E il ruolo degli Stati Uniti con Biden?
Si intreccia in modo assai complicato. Finite le elezioni israeliane, se eletto, Netanyahu dovrà occuparsi anche delle elezioni palestinesi: a maggio ci sono quelle parlamentari, a luglio quelle presidenziali. Si vedrà se dopo 16 anni se Abu Mazen verrà sostituito. Il problema palestinese messo da parte tornerà in primo piano come il rapporto con l’intero mondo arabo. Indiscrezioni poi parlano di una bozza di piano americano per riprendere i rapporti con i palestinesi che in qualche modo in misura sia pure minore cambierà il cosiddetto accordo del secolo di Trump. Gli americani infatti vorrebbero aprire un consolato a Gerusalemme che si occuperà dei rapporti con i palestinesi. Sarebbe un atto politico importante.
(Paolo Vites)
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