Elezioni che si tengono con uno dei candidati in carcere, Nabil Karoui, imprenditore arrestato lo scorso 23 agosto per riciclaggio ed evasione fiscale e che da qualche giorno è entrato in sciopero della fame, la dicono lunga del clima in cui la Tunisia si appresta a eleggere il nuovo presidente della Repubblica. La morte improvvisa infatti lo scorso luglio del presidente in carica Beji Caid Essebsi ha obbligato a invertire il calendario elettorale: il primo turno del voto presidenziale di domenica prossima precederà le elezioni parlamentari, previste per ottobre, mentre a novembre si svolgerà il secondo turno per la presidenza. La Tunisia, considerata l’unico paese ad aver conquistato la democrazia tra i tanti che furono protagonisti nel 2011 delle “primavere arabe”, in realtà si trova in condizioni di gravi difficoltà proprio del sistema politico. In molti, ci ha detto Michela Mercuri, docente di di storia contemporanea dei Paesi mediterranei ed esperta di geopolitica del Nord Africa, “sono stanchi dei fallimenti soprattutto sul piano economico di questi ultimi anni, condizioni economiche peggiorate e disparità regionali. Il malcontento è forte e potrebbe portare a un ribaltamento dai contenuti inediti per la Tunisia”.



Al centro del dibattito elettorale, l’ampliamento dei poteri del capo dello Stato, ridimensionati dopo la rivoluzione del 2011. Chi è che vuole tra le varie forze politiche questo ampliamento e in che cosa consiste? È un bene o una minaccia per la fragile democrazia tunisina l’ampliamento dei poteri?

Dopo la riforma costituzionale del 2014 la Tunisia è passata da un sistema presidenziale, dove il capo dello Stato aveva poteri praticamente illimitati, a uno simile al sistema semi presidenziale francese con un ruolo maggiormente bilanciato dall’esecutivo. Ci sono adesso alcuni candidati che stanno spingendo, soprattutto l’ex ministro della Difesa, per un sistema che dia più poteri al presidente. Una linea motivata dal desiderio di contrastare maggiormente forze come quelle islamiste dando al presidente maggiori poteri in ambiti come la difesa e la sicurezza.



Il popolo tunisino invece come vive queste elezioni?

La popolazione non ha visto grossi miglioramenti nelle condizioni economiche e sociali e soprattutto non sono state superate le disparità regionali. Ciò si riflette anche sullo stato d’animo. Un sondaggio tenuto alla fine del 2018 ha reso noto che il numero di tunisini che ritiene la democrazia il sistema ottimale è sceso dal 70% del 2013 al 40% di oggi, molti vorrebbero addirittura una sistema monopartitico.

In particolare cosa chiede la gente?

La Tunisia vive una crisi economica preoccupante resa più profonda nel sistema turistico dagli attentati del 2015. Il tasso di disoccupazione tocca il 15% delle persone con punte del 40% tra i giovani, facendo della Tunisia lo stato con il più alto numero di disoccupati del Nord Africa ad esclusione della Libia. Questo ha portato a manifestazioni nelle zone periferiche del paese, le più colpite dalla crisi, e all’aumento di migranti verso l’Italia, nonché alla radicalizzazione di molti giovani. Non dimentichiamo che la Tunisia è stata la nazione araba con il più alto numero di foreign fighters molti dei quali stanno tornando a casa. Sul tema di che cosa li preoccupi, sempre nello stesso sondaggio il 34% ha risposto il costo della vita e solo il 3% il terrorismo. Questo clima spinge a cercare un leader forte che ristabilzzi il paese.



26 i candidati in corsa per l’elezione a capo dello Stato tra cui l’attuale primo ministro Youssef Chahed, il ministro della Difesa Abdelkarim Zbidi, il magnate dei media Nabil Karoui e Abir Moussi, una delle due candidate donne che era stata un alto funzionario del deposto regime di Zine El-Abidine Ben Ali. Chi è che gode dei maggiori favori elettorali?

Che vi siano 26 candidati a scontrarsi in questa prima fase ci dimostra come in campo siano scese tutte le anime del paese anche per il malcontento che questo governo di coalizione fra islamisti e laici ha scatenato nella popolazione. Ci sono i tradizionalisti, gli indipendenti, anche personaggi di rottura come il magnate delle telecomunicazioni Karoui e poi i musulmani.

Chi ha le maggiori chance di vittoria o comunque di arrivare al ballottaggio?

Il risultato lo sapremo solo al ballottaggio. Il candidato della Fratellanza musulmana potrebbe convogliare i voti islamisti, ma anche l’attuale primo ministro ha delle possibilità. Assistiamo a delle autentiche sorprese in questo momento, la polarizzazione fra islamisti e laici sta lasciando il posto a una dialettica fra partiti tradizionali e non tradizionali, un segno di rottura con il passato. È difficile dire chi potrà vincere al primo turno. Le novità e il malcontento latente nel paese potrebbero portare a un rivolgimento inaspettato dei risultati.

La Libia è nel caos: c’è un rischio “contagio”?

Sì, sicuramente c’è rischio contagio vista la situazione della Libia. I confini sono diventati estremamente porosi soprattuto per i terroristi, molti appartenenti allo stato islamico fanno la spola fra Libia e Tunisia. Il 70% dei tunisini arrestati per terrorismo nel 2017 hanno ricevuto addestramento in Libia. È chiaro che la stabilizzazione della Libia è un tassello per la messa in sicurezza della Tunisia. La destabilizzazione libica ha influito sui centri di detenzioni, molti migranti sono in fuga e si recano a piedi verso la Tunisia. La frontiera fra i due paesi per tanto tempo è stata terra di nessuno, solo recentemente sono stati investiti 18 milioni di dollari da parte tunisina per rafforzare i controlli mentre Usa e Germania hanno stanziato 50 milioni di dollari per rafforzare la sicurezza a sud del paese.

Tunisia ed energia: ci riguarda, e come?

Se per energia intendiamo un settore importante come l’energia elettrica e le fonti rinnovabili, la Tunisia può offrirci opportunità significative. Sono stati stanziati 150 milioni di dollari per progetti importanti in questo senso, che l’Italia dovrebbe cogliere al volo per non essere surclassata da altri paesi europei che hanno gli occhi più attenti di noi.

(Paolo Vites)