L’affluenza alle urne è salita quasi al 50% e la vittoria è andata all’unico riformista a cui il regime aveva concesso di candidarsi. Massoud Pezeshkian, 69 anni, cardiochirurgo, non prende le distanze dalla guida suprema Khamenei e dal resto delle istituzioni iraniane, ma il suo programma arriva addirittura ad auspicare un nuovo accordo con gli USA sul nucleare. E le prime parole dopo la sua elezione sono un appello alla collaborazione di tutti per il progresso del Paese. Anzi, con il nuovo presidente, che succede a Ebrahim Raisi, morto in un incidente aereo, ci si potrebbe aspettare anche una politica estera meno aggressiva.



Bisognerà vedere, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, se questo sarà il primo passo di un cambiamento di rotta del regime, indotto a cambiare registro da una società civile che chiede da tempo a gran voce un Paese più liberale e aperto. Anche la campagna elettorale, nella quale i due candidati arrivati al ballottaggio, Pezeshkian e il conservatore Saeed Jalili, si sono affrontati a muso duro in tv, come dovrebbe essere in una normale competizione per eleggere un presidente, può essere vista come un segno che qualcosa potrebbe cambiare: in Iran non succedeva da vent’anni.



Professore, il primo dato, quello decisivo, è che c’è stata una maggiore affluenza alle urne, dal 40% del primo turno al 49,8% del secondo. La gente ha visto la possibilità di un minimo di cambiamento e ne ha approfittato?

C’è una piccola speranza che ha mosso qualche milione di persone e le ha portate a votare. Pezeshkian aveva 10 milioni di voti al primo turno e ora ne ha presi 16. Appena eletto ha fatto un discorso di conciliazione nazionale. Vediamo. Di certo non può essere peggio di prima.

Quale scelta avevano di fronte questa volta gli elettori iraniani? 

Almeno apparentemente c’era una differenza importante fra i due candidati, uno decisamente più ortodosso, Saeed Jalili, l’altro, Massoud Pezeshkian, che sia in politica interna che in quella estera sembra essere più aperto. Il primo è il classico conservatore tradizionalista, mentre il secondo sembrerebbe essere molto più riformista, disposto a dialogare con l’Occidente, anche se non ha potuto negare di essere anche lui vicino al leader supremo Khamenei. D’altra parte, è stato ministro della sanità già in un precedente governo. Non è una “verginella”, è uno che sa navigare. Al ballottaggio, però, qualcuno in più gli ha creduto ed è andato a votare. La partecipazione dei disillusi è stata fondamentale per vincere: gli altri candidati oltranzisti, esclusi dopo il primo voto, si erano alleati con Jalili.



Pezeshkian è stato presentato come riformista, lo è veramente?

La gente gli ha creduto. È molto disillusa, ha avuto molti anni di frustrazioni, il caso di Masha Amini (la ragazza arrestata per avere indossato l’hijab in modo sbagliato e morta dopo che era stata portata in una stazione di polizia, nda) ha molto colpito la gente, soprattutto in una città come Teheran, in cui il tasso di partecipazione al voto al primo turno è stato del 33%, veramente molto basso.

Come mai il regime ha permesso a un candidato riformista di presentarsi? Ha bisogno di farsi vedere un po’ più liberale di prima?

Aveva bisogno di mobilitare un po’ di più la partecipazione, di indurre le persone ad andare a votare. È difficile però capire se sia stata un’esca o una cosa un po’ più seria. Stavolta però al secondo turno c’è stata una vera campagna elettorale, con un dibattito televisivo tra i due candidati, nel quale se le sono dette di santa ragione. Jalili è stato accusato di rendere l’Iran talebano. Insomma, un dibattito non solo formale ma anche sostanziale.

Questo ha rappresentato una novità per il Paese?

Erano vent’anni che non succedeva, da quando c’era al potere Khatami. Da allora non si era più visto un vero scontro tra un candidato progressista e uno no.

Che cambiamenti dobbiamo aspettarci dal nuovo presidente?

Siamo in un momento molto importante: il leader supremo, Ali Khamenei, ha 85 anni, e Raisi era la persona designata a succedergli. Avere qualcuno un po’ più riformatore come seconda carica dello Stato non è irrilevante.

È un’indicazione al regime perché vada in quella direzione anche per quanto riguarda l’individuazione della nuova guida suprema?

Non dico che adesso Pezeshkian sia destinato a succedere a Khamenei, non mi sembra la persona adatta, ma giocherà qualche ruolo.

Adesso il regime prenderà la palla al balzo per una politica più riformista o si è trattato solo di un’operazione di maquillage?

Tendo a credere nella prima tesi, almeno spero che sia così. Forse anche il regime si è accorto che rischiava di perdere in tutto e per tutto il consenso popolare.

Ci si può aspettare qualcosa di più anche dal punto di vista della politica estera? Un Iran meno aggressivo nella regione mediorientale, anche se manterrà i suoi contatti con Hamas, Hezbollah e Houthi?

Certo, anche se poi bisognerà vedere cosa farà Hamas: questa volta sembrerebbe che si sia molto vicini a un accordo con Israele. Una circostanza che renderebbe lo scenario più gestibile. Politica estera, interna ed economica, comunque, sono tutte strettamente legate. Migliorando uno di questi aspetti si possono avere effetti anche sugli altri. Il Paese è stremato, soprattutto dall’inflazione che continua a essere pesante.

Possiamo aspettarci meno intransigenza sull’uso del velo per le donne e su certe norme anacronistiche? O che ci sia un tentativo di raggiungere una nuova intesa sul nucleare con gli USA?

Potrebbe essere, anche se sul nucleare gioca ancora l’incognita Donald Trump, che aveva disdetto il precedente accordo sull’arricchimento dell’uranio. Da parte loro, gli iraniani credo che faranno qualche tentativo in questo senso.

Per come è strutturato l’Iran, però, le decisioni importanti le prenderà sempre Khamenei, la guida suprema?

Sì, le decisioni importanti le prenderà ancora lui, però ha 85 anni ed è sul momento di mollare. L’Iran, quindi, potrebbe anche cambiare nei prossimi anni, anche perché c’è una società civile molto articolata, molto laica per certi versi. Ci sono le premesse per un cambiamento. Se poi si realizzerà non lo so. Il Paese è molto diverso da quello che appare: da una parte c’è un regime fondamentalista, dall’altra un’opinione pubblica che, rispetto a molti altri Paesi dell’area, ha una mentalità più aperta. Vincendo Jalili, questo cammino di cambiamento sarebbe stato molto più difficile. Pezeshkian, comunque, non è un candidato rivoluzionario, ha detto che avrebbe rispettato Khamenei e tutta la struttura istituzionale.

(Paolo Rossetti)

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