Se cercate qualcuno sorpreso per l’esito elettorale in Israele, dovrete cercarlo fuori da questo Paese. È vero, per giorni l’ufficio stampa dell’attuale Governo Netanyahu ha inondato i mezzi di comunicazione internazionali dei progressi nella vaccinazione anti-Covid in Israele. Sulle televisioni e sui giornali di mezzo mondo è stato così un affollarsi di servizi elogiativi per il Governo israeliano, sorvolando in verità sulla mancanza di vaccini per la popolazione palestinese. Alla quale, ora, il presidente americano Joe Biden ha promesso di donare 15 milioni di dollari per l’acquisto dei vaccini.
A urne aperte e lo spoglio delle schede quasi concluso, la vaccinazione anti-Covid non ha dato quei risultati trionfali per Benjamin Netanyahu che all’estero erano dati quasi per scontati da giornalisti e politici poco esperti delle dinamiche interne israeliane. La quarta elezione politica in due anni ha riproposto, invece, uno scenario già conosciuto e già aperto alla possibilità di nuove elezioni, per dipanare una matassa politica ancora intricata.
Il risultato elettorale atteso, che la campagna anti-Covid non ha affatto stravolto, è stata l’ennesima a vittoria “ai punti” per Netanyahu. Quasi il 30% degli elettori e 30 seggi per il suo Likud alla Knesset, il Parlamento a camera unica in Israele. Inoltre, per Netanyahu, c’è qualche livido politico ed elettorale in più. In primo luogo, il partito “la Nuova Speranza” nato da una costola del Likud e guidato da un suo oppositore interno, Gideon Sa’ar. Sei seggi al nuovo partito. Così oggi Netanyahu si trova lontano dal risultato di un anno fa, quando si aggiudicò 36 seggi.
Poi, a complicare ulteriormente il quadro, c’è l’ingresso alla Knesset di un partito di estrema destra, che rischia di diventare un imbarazzante ma necessario alleato di governo. Sei seggi per il Partito sionista religioso, che sotto nuove spoglie raccoglie il filone dell’estremismo di destra anti-palestinese. Considera un eroe, ad esempio, il colono ebreo Baruch Goldstein, l’autore della strage del 1994 all’interno della Moschea Ibrahimi (30 morti palestinesi) a Hebron. Non è un caso che vicino a questa città il nuovo partito abbia raccolto ampi consensi tra le migliaia di coloni israeliani che si sono insediati in questi ultimi anni.
Non è un caso, dunque, che più di qualcuno in Israele abbia considerato preoccupante l’esito di queste elezioni per la storia politica del Paese. Se la componente ferocemente estremista della società israeliana, dopo essere entrata in Parlamento, dovesse anche partecipare e condizionare un possibile nuovo governo Netanyahu, allora non ci sarebbe alcun futuro per una soluzione negoziale del conflitto con i palestinesi. Aumenterebbe, inoltre, il senso di impunità per coloro che osteggiano le differenti comunità religiose in Israele. Non è caso che siano aumentati gli episodi di vandalismo contro le chiese cristiane (riconducibili ad attivisti del Partito sionista religioso), episodi denunciati pubblicamente e duramente condannati dai responsabili delle comunità religiose cristiane. Inoltre, riguardo ai palestinesi, che si accingono in maggio e poi a luglio a elezioni politiche e presidenziali, Joe Biden ha pensato di resuscitare, da subito, il cosiddetto Quartetto (formato da Usa, Russia, Unione europea e Onu) per riprendere le fila di una trattativa tra israeliani e palestinesi e di un accordo promosso e sancito dalla comunità internazionale, anche contro le riluttanze vecchie e nuove delle parti in causa.
Un nuovo Governo Netanyahu di centrodestra, tuttavia, non ha in questo momento il numero sufficiente per raggiungere la maggioranza in Parlamento, e superare i 61 voti necessari per ottenere la fiducia. Quindi, è probabile che lo zoccolo duro che sostiene da dodici anni Netanyahu (Likud e Partiti religiosi) busserà alla porta di tutti partiti della destra, dal Partito sionista religioso al Partito Yamina, guidato da quella vecchia volpe di Naftali Bennet, leader dei coloni in Cisgiordania. Si busserà anche alla porta di singoli deputati, per strapparli ai propri partiti con la promessa (in genere mantenuta da Netanyahu) di ministeri anche appositamente creati.
Rimane un’altra possibilità per l’attuale primo ministro, solo paragonabile a quel colpo di teatro che un anno fa portò Netanyahu ad allearsi con il suo principale oppositore, il generale Benny Gantz. Se il conteggio finale dei voti dovesse dare quattro o addirittura cinque seggi al Partito Ra’am (uno dei partiti votati dai palestinesi con cittadinanza israeliana), Netanyahu potrebbe essere tentato da un’operazione politica difficile, ma per lui non impossibile. Un’alleanza con il leader del partito arabo, Mansour Abbas, che non ha mai escluso un sostegno a Netanyahu. In nome di che cosa? Di benefici economici per la comunità palestinese in Israele (quasi due milioni) stremata dalle restrizioni per il Covid e da una decennale legislazione che la rende una comunità di fatto inferiore. E anche in nome di un’azione più stringente contro la criminalità organizzata (con aspetti mafiosi) che si pone in molte località del nord di Israele come uno Stato alternativo e altrettanto oppressivo a quello israeliano, che fin qui la comunità palestinese ha subito e nello stesso tempo cercato di evitare.
Netanyahu prima e durante la campagna elettorale ha cercato i voti dei palestinesi, ma ha negato ogni possibilità di un accordo politico con il partito di Abbas. Tuttavia, paradossalmente, è proprio dall’interno del Likud che giungono ora inviti al Premier a considerare “ogni sforzo utile” per evitare nuove elezioni politiche, in mancanza di una maggioranza parlamentare a sostegno di un nuovo governo Netanyahu.
Il capo dello Stato Reuven Rivlin, in ogni caso, presto chiamerà Netanyahu a cimentarsi con la formazione di un nuovo governo “di destra”, come lo stesso Netanyahu ha preannunciato.
Rimarranno per ora in panchina altri protagonisti della politica israeliana. Al centro dello schieramento c’è Yair Lapid, ora alla guida del secondo partito israeliano, e il generale Benny Gantz, che fu oppositore, poi alleato, poi nuovamente oppositore di Netanyahu (ma il suo partito Blu e Bianco è crollato da 33 a 8 seggi). A destra rimane Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa, eterno oppositore laico dei partiti religiosi. Alla sinistra, infine, i laburisti e il partito Meretz: entrambi erano dati in via di estinzione e invece tornano alla Knesset rispettivamente con sette e sei seggi. Sorprese di una parte della società israeliana, che aveva creduto in un generale (Gantz) e ora ha dato un segnale di resilienza.
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