Chiusa la deadline per la presentazione dei candidati alle elezioni presidenziali in Libia, che si terranno il prossimo 24 dicembre, la lista di chi si è presentato è spropositata: ben 98 persone hanno chiesto di partecipare alla corsa elettorale. D’altro canto, come ci ha detto Marco Bertolini, già comandante della Brigata paracadutisti Folgore a Kabul nel 2008 e capo di stato maggiore Isaf in Afghanistan, “questo è lo specchio di un paese frazionato tra numerose tribù, etnie, popolazioni, dai berberi ai tuareg. Francia e Unione Europea, indicendo queste elezioni, avevano sperato che emergesse una leadership in grado di unire il paese, ma è evidente che questo scopo è fallito”. Tra questi, si era candidato anche Saif Al-Islam Gheddafi, figlio del dittatore ucciso, ma la sua candidatura è stata respinta dall’Alta Commissione elettorale libica che le sta passando al vaglio tutte. Il motivo è che Saif Al Islam risulta ancora ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja per “crimini contro l’umanità”. Resta però ufficialmente candidato il generale Khalifa Haftar, che dopo aver dismesso la divisa militare si è candidato come leader della Cirenaica (anche lui corre il rischio di essere estromesso perché condannato a morte dalla Procura di Misurata per il bombardamento contro l’accademia aeronautica di Misurata nell’agosto 2019). “Haftar ha possibilità di vincere, così come poteva averla il giovane Gheddafi, perché godono di un forte riconoscimento dell’opinione pubblica, ma allo stesso tempo una sconfitta di Haftar potrebbe scatenare nuove tensioni, che spezzerebbero l’attuale tregua in atto da mesi”.



In Libia si conta un numero spropositato di candidati alle prossime elezioni presidenziali. È il segnale che il paese è più frazionato che mai?

Il numero dei candidati rispecchia la situazione della Libia. Chi pensava di imporre un sistema in cui si sarebbero scontrati due o tre partiti è stato un ingenuo, con la stessa ingenuità un po’ pelosa che abbiamo visto anche in Afghanistan, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. La Libia è un paese diviso in tribù, etnie, ci sono arabi, berberi, tuareg, realtà con le quali bisogna fare i conti senza il paraocchi delle nostre ideologie.



Tra i nomi più in vista spiccava il figlio di Gheddafi la cui candidatura è però stata respinta, e l’ex generale Haftar: personaggi che hanno un peso specifico non da poco per il popolo libico.

La candidatura di Haftar e del figlio di Gheddafi in fin dei conti erano qualcosa che ci si poteva aspettare. Haftar sembrava scomparso, perché era cambiata la situazione, invece può sempre contare su una forza militare importante e su un forte seguito. La stessa cosa vale per Gheddafi jr., che, seppure sconti il fatto di portare il cognome del padre, è altrettanto vero che proprio per questo gode di un valore aggiunto, se teniamo conto che Gheddafi padre è stato l’unico ad aver saputo unire la Libia, trovando una sintesi fra tutte le differenze che ricordavo prima. La sua candidatura è stata respinta, ma questo non significa che lui si tiri fuori del tutto dai giochi. Non c’è dubbio che una parte della popolazione pensi a loro e allo stesso Gheddafi come a una soluzione a tutti i problemi del paese.



Gheddafi ha stretti rapporti con Mosca, un motivo in più perché si possa considerare ancora un soggetto politico?

L’amicizia con Mosca ce l’ha anche Haftar. La Russia è uno dei tanti attori esterni che hanno un peso non indifferente in Libia. I candidati che si sono presentati sono portatori degli interessi di queste realtà esterne: ci saranno candidati vicini agli Stati Uniti e altri legati all’Onu. La Russia rimarrà in Libia in qualche modo; vista anche la pressione a cui è sottoposta in Bielorussia e Ucraina, non si tirerà indietro e sponsorizzerà i suoi alleati fedeli, e se questi sono Gheddafi e Haftar non si tirerà indietro. La Russia, a prescindere da come andranno le cose, in Libia ci rimarrà.

La cancellazione di Gheddafi dalle elezioni creerà tensioni? E una eventuale sconfitta di Haftar?

Sono possibilità concrete. Il rischio è che non si accetti il verdetto delle urne. Non credo saranno presenti osservatori internazionali in grado di garantire la regolarità delle elezioni, è già successo in paesi in condizioni di maggiore stabilità della Libia. Dipenderà anche da quel che verrà offerto ai perdenti.

Francia e Ue non avrebbero fatto meglio a rimandare più in là le elezioni, a quando la Libia avrà fatto passi avanti nel processo di unità nazionale? Non si rischia che questo voto finisca in un nulla di fatto?

Il rischio c’è, d’altronde è comprensibile che Francia e Ue avessero bisogno che in Libia uscisse una leadership in grado di prendere in mano la situazione. Almeno, era quello che si sperava.

(Paolo Vites) 

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