Un colpo di scena che può cambiare tutto. La Liguria si preparava ad andare alle elezioni regionali del 27-28 ottobre prossimo consapevole di un risultato praticamente già scritto: la fine dell’esperienza di governo di centrodestra in favore di un nuovo avvento del centrosinistra. Riavvolgere il nastro, in questo caso, è più che utile. La Liguria è stata per decenni una regione “rossa”, dove il potere dell’ex partito comunista si è pesantemente sedimentato trasformandosi in clientelismo e immobilismo. Nel 2000, complice la cavalcata azzurra che porta la Casa delle Libertà ad abbattere il secondo governo D’Alema, Sandro Biasotti – per conto di Silvio Berlusconi – espugna la regione. Si tratta di un evento così inatteso che presto mostra il suo limite: Biasotti non ha una vera e propria piattaforma programmatica e, al volgere del vento nazionale, nel 2005 perde la presidenza, che torna saldamente per dieci anni nelle mani degli eredi del Pci.



Qui accada qualcosa di altrettanto sorprendente: Giovanni Toti, il giornalista Mediaset aspirante delfino del Cavaliere, viene catapultato sulla regione proprio dal cerchio magico berlusconiano che non sa come disfarsene. È, un po’ a sorpresa, una grande vittoria. L’exploit precede quello dei “totiani” un po’ in tutta la Regione, fino al vero capolavoro politico: la presa di Genova nel 2017 da parte del civico di centrodestra Marco Bucci. Toti, a quel punto, ha tutte le carte in regola per collaudare un modello amministrativo che ai liguri piace e che si mostra efficiente nei giorni della tragedia del Ponte Morandi e della ricostruzione di una regione e di una città. Toti non è Biasotti: si rivela un abile comunicatore e mette a segno una serie di iniziative che consolidano e coagulano il consenso.



La protesta, tuttavia, è montante su un unico grande settore: la sanità. I liguri sentono di essere abbandonati, di essere vittime di una riorganizzazione che allontana il servizio sanitario dalle loro case e dai loro comuni. Toti attraversa un momento difficile nel consenso e ciò che lo interrompe è la tegola definitiva: l’arresto di questa primavera e la dubbia azione coercitiva che lo induce alle dimissioni.

È chiaro a tutti che, con queste premesse, il centrosinistra ha la strada spianata. Lo sanno bene gli ex compagni, che raccolgono una compagine posticcia attorno ad un candidato di apparato che ai cittadini piace poco: Andrea Orlando. Lo introduce il Pd, lo appoggia la sinistra, lo sostiene – facendo fare un passo indietro al proprio candidato – il Movimento 5 stelle. Sono le prove di campo largo, che coinvolgono Calenda e – un po’ a sorpresa – Renzi, quel Renzi che in comune a Genova governa stabilmente con Bucci e che, adesso, cerca di rifarsi una verginità facendosi un bagno nel Mar Ligure.



Orlando sembra non avere rivali. Lo sanno i “totiani”, che quasi non entrano in partita, lo sanno gli aspiranti consiglieri regionali dei partiti – che si impegnano da subito in una campagna elettorale da tutti contro tutti –, lo sanno tanti cittadini, preoccupati che con Toti non se ne vada solo una coalizione, ma un metodo e una serie di priorità che hanno davvero smosso e cambiato il tessuto ligure.

Sembra quindi una battaglia persa, irrimediabile. Poi, appunto, il colpo di scena: la discesa in campo in prima persona di quel sindaco di Genova Bucci che ha raccolto sul territorio consenso e stima, riconoscimento di competenze di leadership. Sembrava impossibile: alcuni motivi personali e la forte lealtà all’impegno amministrativo rendevano il candidato di difficile collocazione, ma poi – probabilmente da Roma – tutto si è mosso, tutto è cambiato. Ed ecco che il centrodestra torna improvvisamente competitivo, che la stagione degli scandali totiani pare essere superata e che l’impresa impossibile sembra adesso accompagnata da un vento nuovo, quasi di malcelato ottimismo.

Le elezioni in Liguria si vincono a Genova e almeno in un’altra provincia tra Savona e Spezia. Bucci avrà quindi certamente bisogno di uno stratega e di una strategia certa, dovrà richiamare all’ordine i partiti, costruire una piattaforma programmatica che ruoti attorno ad alcune idee chiave, confrontarsi con Orlando non come se l’ex ministro fosse “il nuovo”, ma l’epigono di una fallimentare stagione che non ha ancora rinunciato a mettere le mani sulla regione e sulla città. Bucci sembra un gigante in una corte di nani. Gli è stato chiesto un miracolo. È possibile che gli riesca, a patto che riesca a convincere i nani a non ballare ciascuno la propria musica.

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