Ci sono le elezioni regionali in Liguria, ma che succede? Semplice, il campo largo si è ridotto ad un vicolo stretto e buio. Un carruggio senza luce in cui si entra in pochi. Sarà stata la necessità di farsi spazio tra le folle di turisti del centrosinistra o la calca di morti progetti di unità delle forze di opposizione, fatto sta che non ci si sta tutti assieme. È tempo di visibilità e slogan, non di progetti e di governo, e a Conte, in particolare, serve una prova di forza di autonomia e credibilità contro Renzi per vincere la Vera Battaglia, ovvero quella contro Grillo. Il suo più acerrimo nemico dopo che lo sacrificò per Mario Draghi, complice, appunto, il senatore di Rignano. Quindi addio alleanza e dialogo.



La svolta tattica ligure è piena di significati interni a cui gli elettori devono dare risposta. Vincere o perdere conta meno di quanto consenso si raccoglie. Perciò il Pd farà silenziosamente da guardia ai due monelli che si trova da alleati futuri, sperando in un effetto-nostalgia per i suoi candidati e mostrandosi come forza silenziosamente rivoluzionaria.



Renzi, messo fuori dalla contesa, siede sul bordo del fiume come altre volte. Pronto ad alzare il ditino se poi i voti contro il candidato di centrodestra non fossero sufficienti. “Sono pochi, ma sono necessari, i miei voti” dirà se perdono la Schelin e Conte. O dirà che della Liguria, regione acerba, conta solo Genova, dove governa lui se mai dovessero vincere. Il copione lo ha già scritto in mente, Conte invece deve andare in giro e mostrare i muscoli sulla riviera di ponente e di levante. Andare a casa del fondatore Grillo e mostrargli che lì, tra i liguri in cui il comico ebbe natali, lui pesa di più. E sarà per lui la definitiva prova di maturità della sua leadership come le europee lo sono state per Elly Schlein. Quindi si vinca o si perda, anche a lui interessa poco. Dovrà prendere abbastanza voti per dimostrare che lui è vivo. Il resto, tipo governare, non gli interessa affatto.



Questo caos generato dai partiti per lotte interne e collaterali la dice lunga su quanto ancora i singoli leader di opposizione debbano maturare se vogliono davvero sconfiggere la Meloni. Le loro divisioni, acuite dalla necessità di visibilità individuale, sono frutto di un’evidente fase di assestamento dei loro partiti che ancora non hanno superato la fase di maturazione post sconfitta elettorale. I 5 Stelle devono trovare la loro strada prima di potersi alleare, e al centro c’è talmente tanta confusione che ormai è quasi una gara tra monadi che si intestano intere aree di pensiero liberale senza però avere una reale capacità di aggregazione. Sono forze ad oggi immature, con il solo Pd che sta compiendo la sua transizione in modo feroce ed accelerato grazie anche alla capacità dei suoi dirigenti di trovare equilibri riservati senza troppa caciara, come ad esempio promuovere Andrea Orlando a candidato per tenerlo lontano da Roma.

Perciò in Liguria sarà un esperimento in cui non crede nessuno. Una specie di prova generale di quello che nessuno vuole, ovvero un frammentato e confuso guazzabuglio di posizioni politiche che non riescono a trovare sintesi tra le opposizioni.

Se poi il centrodestra farà peggio, lo si vedrà. Ma per ora i veri nemici della Meloni sembrano più i suoi allegati che gli avversari. E lei può starsene tranquilla finché li terrà a bada. Per vedere un centrosinistra competitivo ci vorrà del tempo. La tappa ligure servirà a ciascuno dei partiti di centrosinistra a trovare la sua tesi ed a creare il suo momento di narrazione per convincere gli altri di aver ragione, in attesa di deporre le armi ed iniziare a fare sul serio. Stipandosi assieme in un carruggio che li contenga, finalmente, tutti.

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