Nella sorpresa generale, dopo un pomeriggio di battaglia all’ultima scheda, il centrodestra si è ripreso la Liguria. I sondaggi anche degli ultimi giorni lasciavano poche incertezze, ma in senso opposto: il centrosinistra sembrava avere la vittoria già in tasca. Evidentemente qualcosa è cambiato a ridosso del voto. E il patatrac è tutto interno alla sinistra: qui agli errori della prima ora – come la scelta di un candidato amato dagli apparati di partito ma non dagli elettori – si sono sommati gli autogol della vigilia, tipo l’espulsione di Beppe Grillo dal M5s decretata mentre si chiudeva la campagna elettorale. Il fondatore del Movimento, genovese, non è andato a votare e così avranno fatto molti suoi seguaci. Sono assenze pesantissime, soprattutto quando la sconfitta dell’ex ministro Andrea Orlando è quantificabile in meno di 10mila voti di scarto. Assenze che sono andate a ingrossare le file dell’astensionismo (46% la quota di votanti), che in questo appuntamento elettorale ha colpito entrambi gli schieramenti.
Così, nonostante lo scandalo giudiziario che ha travolto il governatore uscente Giovanni Toti spingendolo alle dimissioni, il centrodestra si è tenuto la guida di una regione storicamente di sinistra. Una bella boccata d’ossigeno per la maggioranza che sostiene Giorgia Meloni. Pochissimi ci avrebbero scommesso: la Liguria è andata al voto anticipato a causa di un’accusa di corruzione a carico del presidente di centrodestra e si ritrova guidata dall’altro pilastro della maggioranza uscente, il sindaco di Genova che, insieme con lo stesso Toti, aveva pilotato la ricostruzione del ponte Morandi. Un modello di governo che ha tenuto: tolta una gamba, è rimasta l’altra. Premiata dagli elettori.
Ora il vento della vittoria spazzerà via le magagne, ma è il caso che nel centrodestra si faccia un’approfondita analisi interna. La coalizione ha tenuto, tuttavia la vittoria è dovuta in gran parte ai passi falsi degli avversari. Con Toti bastonato dalla magistratura, il centrodestra ha impostato una campagna elettorale sulla difensiva. Di sicuro, a differenza del Pd, ha scelto il candidato giusto, un simbolo di buona amministrazione che gode di apprezzamento trasversale e non è divisivo come il suo avversario. La Meloni è corsa a esultare sui social: “Il centrodestra unito ha saputo rispondere alle aspettative dei cittadini, che confermano la loro fiducia nelle nostre politiche e nella concretezza dei nostri progetti”. In realtà, non è tutto oro quello che luccica in casa di Marco Bucci. Nella sua Genova, città di cui è sindaco, Orlando ha preso il 52,3% mentre il primo cittadino ha superato di poco il 44%. Segno che qualcosa si è rotto nel meccanismo di fiducia che lo aveva portato a vincere due volte la corsa verso Palazzo Tursi.
E c’è da riflettere anche sulla ripartizione delle preferenze. Fratelli d’Italia è al 15%, quasi doppiata dal Pd che ha raccolto il 28,5%, in crescita rispetto al 26,3% preso in regione alle europee dello scorso giugno. Le due liste civiche di sostegno a Bucci sommano il 15,2%, una percentuale lontana dal 22,6% ottenuto quattro anni fa dalla lista “Cambiamo con Toti presidente”. Rispetto alle europee, la Lega si mantiene stabile 8,48%, mentre Forza Italia scende al 7,98%: gli azzurri sopravvivono senza fare il “salto” di cui continua a parlare Tajani. Ma il dato che deve più preoccupare la premier è proprio quello di Fratelli d’Italia, che alle europee avevano preso il 26,8%. Ciò dimostra che una grossa fetta del consenso al partito su scala nazionale è in realtà un voto d’opinione per la Meloni che non si riflette localmente. Un comportamento elettorale che ricorda quello di M5s, premiato dal voto d’opinione a livello nazionale, normalmente in sofferenza nelle amministrative.
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