Non è la manciata di voti che ha dato la Liguria a Bucci a far male, neppure il crollo dei 5 Stelle o la sparizione degli elettori moderati che Andrea Orlando non ha attratto. Non sono queste le cose che fanno male. Fa male che, di fronte a un’elezione arrivata per gli arresti e le dimissioni di Toti, di fronte ad un governo di centrodestra fiaccato da dimissioni e scandali, di fronte ad uno scenario nazionale deteriorato in materia economica, di fronte a tutto questo, gran parte dei potenziali elettori dello pseudo “campo largo” siano rimasti a casa. Neppure hanno avuto la voglia di scendere e perdere qualche minuto in fila ai seggi per prendere le distanze dalla maggioranza regionale uscente o testimoniare con il loro voto la voglia di mandare a casa la Meloni.
Niente, l’affluenza è stata talmente bassa da non lasciare dubbi. Il Pd ed i suoi alleati sono risultati indigesti ai propri elettori potenziali, figurarsi se potevano attrarre quelli degli altri. Che poi dicano che il Pd è il primo partito e che le la lista di Verdi e Sinistra ha fatto un buon risultato, superando il 6%, è francamente ininfluente. La parte identitaria che vota il simbolo del Pd a prescindere, salita al 27%, ed è galvanizzata dalle nuove strade della sinistra resta una minoranza non sommabile con altre forze che ne sono immediatamente penalizzate. Calenda sparisce poco sopra l’1%, i 5 Stelle sono il quarto partito della coalizione a poco più del 4%, sotto pure alla lista civica ha supportato Orlando. Gli alleati, in pratica, non hanno tirato. Anzi, forse avrebbe avuto più senso una coalizione di sola sinistra per lasciare libere quelle forze di togliere voti agli altri.
Il che fa capire come sia complessa la strada che porta la governo. Se le europee avevano dato alla Schlein le chiavi del Partito democratico, aperta la porta si ritrova tra i soli compagni che si danno di gomito e si esaltano, ma alla fine quelli sono. E paiono replicare la strada dell’amato Berlinguer: una forza destinata strutturalmente all’opposizione senza avere alcuna possibilità di governo. Avere degli alleati simili, e che si appiattiscono, non amplia la base elettorale e mostra un limite enorme sulla capacità di proporre soluzione ai problemi. Dall’immigrazione alla precarietà, dalla sanità pubblica alla crisi industriale, quelle forze non hanno, almeno per gli elettori liguri, la capacità di dire qualcosa che li faccia smuovere.
Eppure, va ridetto, mai un’elezione era così pesantemente condizionata dagli elementi esterni. Le inchieste sul sistema Genova, con Toti che si dimette, avevano spalancato la porta ad Andrea Orlando che ha, semplicemente, fallito un rigore a porta vuota.
Se poi abbia ragione Renzi è altra questione. L’odiato toscano muove poco, e forse poco avrebbe fatto, ma la sua assenza, come insegna Nanni Moretti, si è fatta notare. Forse quella manciata di voti che mancano lui avrebbe potuto garantirli e dare, eventualmente, una sostanza diversa all’alleanza. Forse poteva andare in maniera diversa, o forse no. Ma resta che stavolta è lui a poter dire che hanno perso quelli che gli hanno fatto la guerra.
Servirà una riflessione per superare questa fase. Ma profonda e seria. Da tempo Prodi suggerisce di aprire le braccia ed accogliere i moderati. Predica un nuovo Ulivo con una forte gamba centrista e mette in guardia dalla radicalizzazione delle posizioni che danno tante soddisfazioni al Pd, che si guarda allo specchio pavoneggiandosi, ma poi resta a mani vuote. Un po’ com’erano i Ds di D’Alema. Primi nella coalizione, ma incapaci di guidarla alla vittoria elettorale.
Serve, e servirà, anche capire cosa farà Conte. La sua strada è irta e perigliosa. Fatta di insidie e di una guerra appena cominciata con il fondatore Grillo. Inoltre, i temi classici che lo hanno portato in auge, dal superbonus al reddito di cittadinanza, sono ormai roba vecchia che tutti hanno scordato. E non basta ricordare i bei tempi andati. Al massimo qualche nostalgico ti vota, ma diventi del tutto influente fino a sparire.
Infine, altra lezione, l’assenza della Schlein dall’agone politico quotidiano, una scelta che pare voluta per preservarsi, ma che non sembra pagare. Non la si vede su temi e contenuti attuali, ripete i suoi discorsi alti e poco concreti che servono a prendere i voti per le elezioni che contano poco, le europee, ma poi non attirano gli elettori che devono decidere a chi affidare le loro tasse ed il loro futuro.
Se Elly riuscirà a fare politica e finalmente tirar fuori un’innovativa idea di politica del nuovo millennio, o se continuerà a sognare di rifare la Fgci, lo sapremo a breve. Ha presentato dei referendum per smontare le riforme di Renzi e l’autonomia differenziata, ha lanciato la guerra contro De Luca ed abbracciato Conte. Se non le entrano tutte le mosse, a partire dai referendum, rischia di diventare un splendida perdente di successo. Per la gioia della Meloni. Che a furia di non azzeccarne una con le nomine e sistemare le figuracce dei suoi, continua però a vincere. Si sa, ognuno fa politica per quello che vuole. A Elly speriamo non basti ricordare i tempi del Pci. Con la nostalgia non conquisti altro che i nostalgici. Ora c’è bisogno di conquistare il futuro. Se si sa come fare.
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