Le prove tecniche di centrosinistra rosso-verde da declinare in chiave anti-renziana partono dalla Lombardia. Majorino ha convinto Conte a fare qui il suo esperimento. Proprio nella terra in cui lui pesa meno. Con un risicato 7,5% non aveva senso per il Capo dei 5 Stelle avventurarsi in una capricciosa corsa solitaria, né rivendicare la leadership o tentare di contenderla con delle primarie. Meglio vedere se la competizione tra le due anime di ispirazione progressista riesce a produrre un effetto moltiplicativo e a sottrarre dal divano gli indecisi togliendo qualche voto “di popolo” alla Lega. Il resto, la borghesia produttiva, ha già nella Moratti il suo punto di riferimento, così come il centrodestra è la casa sicura di quegli elettori che guardano a Lega e Fdi come approdo.



Così ridotta la competizione appare già di per sé interessante ,ma lo è ancor di più se si getta lo sguardo sul dato politico dell’accordo. L’alleanza tra Majorino e Conte sarà una corsa interna tutta basata sulla chiara distinzione del perimetro di cui occuparsi. Majorino spingerà il Pd sui temi della sanità più efficiente (e più pubblica), del rilancio della regione come comunità sociale da costruire, della più volta denunciata (a suo dire) cattiva gestione della giunta Fontana. Da ex assessore di Milano partirà da Palazzo Marino e dal suo inquilino per ampliare il suo peso, aggregando Gori e glia altri sindaci progressisti. Cementando un gruppo dirigente che ha bisogno di ritrovarsi.



Conte utilizzerà la Lombardia per provare invece a lanciare temi nuovi rispetto alla lotta alla povertà (leggi reddito di cittadinanza) tentando una operazione di greenwashing per fiondarsi alle europee del 2024 nel gruppo dei Grünen. Per far questo la Lombardia è perfetta. La questione ambientale qui esprime le sue contraddizioni maggiori. Fabbriche, auto e tir incrociano un popolo di ciclisti attempati e giovani elettori affascinati da Greta, a cui rivolgersi con una proposta che non sia solo quella dei 700 euro al mese del reddito di cittadinanza.

Conte punta ad andare in doppia cifra, raggiungendo un elettorato più moderno. Majorino, che ha incamerato l’appoggio anche di quel che resta dei Verdi, è ben contento di avere una spalla più forte che si intesti queste regionali e che le possa declinare in modo più efficace e numericamente consistente.



Che vinca, poi, è tutta altra storia. Il popolo milanese arriva alle elezioni con un senso critico forte verso la gestione Fontana, ma i pezzi di potere diffusi oltre la circonvallazione di Milano e fuori dal capoluogo sono fortemente ancorati alla visione “fattiva” che il centrodestra sposa. L’operazione Majorino serve in realtà a dimostrare che un’ipotesi di alleanza tra un Pd (o come si chiamerà) e Conte è possibile e che la competizione interna porta ad entrambi un beneficio, superando e di molto i centristi della Moratti e dando filo da torcere al centrodestra di Fontana.

Perciò questa alleanza, molto di più di quelle nel Sud, può dare un vantaggio ai due attori e sancire una tregua in attesa che si trasformi in altro. Dipenderà dal risultato, come sempre, ma intanto la Lombardia, dopo la parentesi delle comunali di Napoli, è il luogo in cui si inizia a costruire una visione meno conflittuale e fratricida. Ed è già tanto, vista la debolezza della sinistra piegata dalla buriana che soffia da Bruxelles e che dice che sono ormai sepolte le spoglie di un progressismo altezzosamente (e moralmente) “diverso” dai competitori. Non è più tempo di isolamento aureo e di supremazia. Né di usare l’indignazione come arma di ricatto morale per spingere gli elettori a dare il consenso “a quelli diversi” da chi gestisce il potere. È tempo invece di competere ed allearsi anche con chi fino a ieri ti voleva morto. La politica è così. E Majorino ne mastica, come ha dimostrato.