Ucraina, bollette del gas, inflazione alle stelle, le minacce nucleari di Putin. Tante, troppe emergenze nel giro di pochi mesi per prestare la dovuta attenzione alla sfida elettorale italiana che pure, a giudicare dai sondaggi e dalle quote degli allibratori della City (la vittoria di Giorgia Meloni viene prevista con percentuali bulgari, attorno al 98%), promette un ribaltone storico con effetti non secondari per l’Europa.
Anche per questo, a sorpresa, la sfida italiana non ha fatto notizia sui mercati finanziari. A differenza, ad esempio, di quanto accadde in Francia all’epoca del primo duello tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, quando sembrava in discussione la sopravvivenza stessa dell’euro. O, per tornare indietro nel tempo, quando i mercati annusavano il rischio del sorpasso comunista ai danni della Dc negli anni Settanta. Stavolta non è andata così. Salvo qualche scossone iniziale, al momento della crisi di governo, i titoli di Stato italiani, pur restando in area a rischio con uno spread superiore ai 200 punti, non hanno creato grossi problemi al Tesoro.
Certo, il dato è influenzato dalla pressione dei tassi Usa che tende ad appiattire le differenze dentro l’Eurozona. Ma passiamo all’azionario. Se si confronta la performance relativa tra le azioni dell’indice Ftse Mib e l’Eurostoxx 50 si deve prender atto che in questi mesi il premio al rischio del listino italiano non ha fatto che calare. Grazie, per giunta, all’exploit del comparto bancario, da sempre il più sensibile ai venti della politica.
Quali motivi spiegano quest’apparente disinteresse? E quanto durerà? Al proposito è facile anticipare che cinque giorni dopo il voto, venerdì 30, scenderà in campo Moody’s, l’agenzia che ad agosto ha già abbassato l’outlook sul debito italiano a negativo. Ma è difficile pensare per l’occasione a una bocciatura secca del Paese, alle prese con la formazione di un nuovo Governo. È probabile che l’agenzia continui a tenere la finanza italiana sotto tiro, ma eviti di sparare la pallottola d’argento prima di sapere la composizione del Governo e gli equilibri del dopo voto. Ma in assenza di sorprese, torneranno a tener banco le non poche criticità del Bel Paese in un quadro macro complesso e tormentato, lo stesso che finora ha giustificato un certo disinteresse sul caso Italia.
Perché stavolta il Bel Paese ha superato l’estate senza particolari tensioni? Forse perché gli altri non stanno meglio. La Germania, alle prese con l’emergenza gas, ha dovuto stanziare 30 miliardi per evitare il collasso di Uniper, il principale fornitore di metano per le famiglie e per l’industria. La Francia, che ha già anticipato il blocco dell’export di elettricità verso l’Italia, è alle prese con un rinnovamento delle centrali nucleari che si annuncia molto costoso e delicato. Fuori dall’Ue, la neo-Premier britannica Liz Truss anticipa un intervento sull’energia da brivido (125 miliardi di sterline) in grado di mandare all’aria la sterlina e i primi Gilt di re Carlo III. In questo quadro l’eccezione italiana non è più tale. Almeno finché lo “scostamento” resterà nei cassetti.
Ma un ruolo decisivo in questi mesi l’ha avuto la Bce che ha reinvestito in buona sostanza solo nei Btp i profitti ricavati dai titoli tedeschi in scadenza. In pratica, alcune decine di miliardi di euro che hanno consentito lo svolgimento di una campagna elettorale tranquilla sul fronte del debito. Ma adesso? La prosecuzione degli acquisti sarà decisa, in piena autonomia, dal board della Bce in base al programma Tpi, che permette interventi solo a vantaggio dei Paesi che rispettano le regole concordate con Bruxelles. Sarà in grado Giorgia Meloni di stare al gioco oppure c’è il rischio che l’Ue stringa i cordoni della borsa nel caso di un cambio di rotta troppo violento, in linea con le promesse elettorali del centrodestra (170 miliardi)?
Sul versante dei mercati Meloni dimostra di essere ben consapevole dei pericoli a percorrere strade insidiose che porterebbero a picchi di spread e a crolli delle borse. Come del resto ha lasciato intendere Ursula von der Leyen sottolineando che l’Ue dispone dei mezzi sufficienti per correggere le eventuali deviazioni.
Un complesso di ragioni che ha spinto l’Economist a chiedersi se “l’Europa deve preoccuparsi per la Meloni al Governo” e a rispondersi “Forse sì, ma non troppo”. L’interrogativo non riguarda Fratelli d’Italia, quanto la capacità del Bel Paese di trovare le forze per uscire dal lungo declino. “L’economia italiana è improduttiva e ostacolata da problemi strutturali, culturali e demografici. Dal 2000, il Pil pro-capite non è cresciuto, come avrebbe invece dovuto per consentire all’Italia di affrontare il suo stock di debito. Quasi un quarto dei giovani italiani non lavora, non studia e non è in formazione, il livello di gran lunga peggiore nell’Unione europea. Il piano di riforma sostenuto dall’Ue ha lo scopo di aiutare a correggere tutto ciò, ma la svolta sarà lunga e lenta, ammesso che accada. Bisognerà imprimere una spinta per un decennio o più, non per i 17 mesi gestiti da Mario Draghi”.
Di qui un consiglio ai partner europei: “Meloni ha bisogno dell’Ue perché l’Italia non può sostenere il carico del suo debito senza l’aiuto di Bruxelles. L’Europa deve accettare con calma la decisione democratica dell’Italia di eleggere Meloni e aiutarla ad avere successo, avvertendola in privato di quanto sarebbe dannoso sia per l’Italia che per l’Ue una rottura”.
Una situazione fluida, insomma. Nel volo del nuovo Governo non mancheranno i vuoti d’aria, ma è interesse generale, spiega Foreign Affairs, che un Governo Meloni garantisca la stabilità chiesta dai mercati. Almeno nel breve, perché “a lungo termine, gli italiani dovranno giudicare la sua agenda di estrema destra e i suoi piani per trasformare la loro democrazia. Ma a breve termine, per l’Italia – e per l’Ue, gli Stati Uniti e l’Ucraina – una Meloni forte sarebbe meglio di una debole”.
Insomma, meglio allacciare le cinture, c’è turbolenza nei cieli. E, al contrario di quanto sosteneva Mao, non è detto che sia la situazione ideale.
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