Le elezioni di midterm che si sono tenute ieri negli Stati Uniti segnano una grave battuta di arresto per il partito democratico e il presidente Biden. È ancora presto per definire in maniera chiara i risultati (i seggi si sono chiusi nella tarda nottata italiana e i risultati sono in continua fase di aggiornamento) ma il dato che emerge è quello di una sconfitta per i democratici, le cui dimensioni si potranno misurare alla fine della giornata odierna. In queste elezioni viene rinnovata l’intera Camera dei rappresentanti, un terzo del Senato e vengono eletti numerosi governatori statali nonché diverse altre cariche minori.



Il partito democratico ha cercato di ribaltare i sondaggi, che qualche mese fa erano impietosi, insistendo su tre principali argomenti: aborto, clima e democrazia. Aborto, che dopo la sentenza della Corte Suprema è diventato una materia normata dalle legislazioni dei singoli Stati ma che i democratici vorrebbero legalizzare a livello nazionale fino, almeno, alla 24esima settimana; clima, su cui i democratici rivendicano di aver spostato ingenti fondi pubblici, atti a finanziare la transizione a energie rinnovabili con il green new deal sponsorizzato dal presidente; democrazia, con il presidente Biden che accusa “alle elezioni è in gioco la democrazia”, il voto “deciderà se preservarla o metterla in pericolo” e l’ex presidente Obama (sceso in campo per portare il suo innegabile fascino e carisma a sostegno dei suoi colleghi di partito) che sostiene “la democrazia … potrebbe non sopravvivere”.



Se durante l’estate il tema dell’aborto aveva permesso ai democratici di recuperare lo svantaggio nei sondaggi, con l’avvicinarsi al voto gli americani si sono mostrati molto più attenti ai temi sollevati dai repubblicani, soprattutto inflazione, sicurezza, tasse. Inflazione, che negli Usa come in Italia sta incidendo pesantemente sulla vita delle famiglie e per la quale i repubblicani accusano le politiche espansive e i sussidi approvati da Biden, sottolineando la difficoltà di Biden a far valere gli interessi americani con Russia e Cina; sicurezza, con i tassi di omicidi nelle grandi città in crescita, un aumento dell’immigrazione illegale e le forze dell’ordine che in alcuni Stati democratici sono delegittimate e a cui vengono ridotti i finanziamenti; tasse, con la promessa di alzare i redditi tramite la riduzione di imposte, anche a fronte della riduzione di alcune spese di sicurezza sociale e delle spese (ad esempio) a sostegno dell’Ucraina.



Sembra insomma che la maggioranza degli americani nella giornata di ieri abbia votato con il portafoglio, più spaventati dal costo dei carburanti (comunque decisamente inferiore a quello italiano) che dei fantasmi sollevati dai democratici di una dittatura in arrivo in caso di vittoria repubblicana.

I prossimi due anni non saranno semplici per il governo del presidente Biden: una Camera dei rappresentanti (che è il principale organo legislativo federale) controllata dai repubblicani costringerà il presidente democratico a trattare con i suoi oppositori su qualsiasi proposta di legge. Attualmente non è possibile dire chi avrà la maggioranza del Senato, ma se anche questo fosse controllato dai repubblicani, Biden dovrebbe trattare con loro per qualsiasi nomina giudiziaria (in particolare quella di futuri giudici della Corte Suprema) nonché per quelle di molte altre cariche importanti di nomina presidenziale.

Nel partito conservatore invece queste elezioni aprono ufficialmente la sfida per la leadership del partito, e per la candidatura per le prossime elezioni presidenziali, con l’ex presidente Trump che cerca di prendersi il merito di parte delle vittorie repubblicane, in particolare negli Stati dove ha tenuto comizi ed eventi elettorali, ed il governatore della Florida, Ron DeSantis, che sta conquistando una riconferma nel proprio Stato con percentuali altissime, e che è visto da molti osservatori come la stella nascente del partito.

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