A meno di un colpo di scena apocalittico, da domani il presidente Usa Joe Biden sarà una proverbiale “anatra azzoppata”. Certo farà la differenza se – all’indomani del voto midterm – all’inquilino della Casa Bianca rimarrà almeno una zampa sana (il Senato): ed è questo il vero interrogativo di scenario, che impatta inevitabilmente sul futuro della sponda europea dell’Atlantico.



Una completa rotta democratica avrebbe come conseguenze non improbabili e la decisione di Biden di non ricandidarsi nel 2024 e un’escalation simmetrica di Donald Trump. I polls tuttavia continuano a dare più credito a quella che i dem già provano a vendere come “vittoria difensiva”: cioè il mantenimento di una fragile maggioranza alla Camera, già fonte di non pochi problemi per l’agenda-Biden nella prima metà del mandato. Ma tanto varrebbe a tenere all’interno degli States un clima “ucraino” di “resistenza democratica”: poiché è questo l’argomento finale di una campagna elettorale che i dem hanno impostato sui diritti civili e i repubblicani hanno invece virtualmente vinto puntando su inflazione, boom della criminalità post Covid da black lives matter e immigrazione illegale. Un contesto in cui – come minimo – il presidente in carica farà da scudo umano alla ricandidatura di Trump, con qualche residua speranza che l’ex presidente possa essere neutralizzato da qualche inchiesta giudiziaria.



Se il copione mediatico del prossimo biennio appare in qualche modo scritto, meno facile è pronosticare l’impatto di un sostanziale stallo domestico Oltre Atlantico. Che l’instabilità geopolitico-economica sia comunque destinata ad aumentare lo stanno già dicendo alcuni segnali della vigilia. Se ormai si rincorrono le voci di pressing americano sull’Ucraina di Zelensky per una de-escalation militare e l’apertura a negoziati con la Russia, il viaggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz in Cina sembra aver interrotto la lunga paralisi imposta all’Europa dalla Nato a trazione americana.



Si è trattato, certamente, di un passo azzardato, volto a scaricare all’esterno tensioni e pressioni cui la Germania è sottoposta al suo interno (industria e sindacati) ma anche dagli altri Paesi Ue (basti pensare all’intransigenza polacca verso Putin, all’Ungheria filo-russa ma anche alla rigidità olandese al controllo del mercati del gas).

Basterà comunque attendere pochi giorni per capire se il post-midterm americano porterà uno sblocco qualsiasi della situazione ucraina: se al summit G20 di Bali – il 15 e 16 novembre – Biden e Putin avranno qualche forma di contatto, è possibile che attorno a Kiev il confronto militare inizi a raffreddarsi. Il ché non vorrebbe assolutamente profilare un cessate il fuoco negoziato in tempi brevi, e tanto meno una decelerazione dell’inflazione da energia che sta colpendo l’intero Occidente. Sicuramente, però, la Ue potrebbe traguardare il 2023 attraverso lenti meno drammatizzanti e – in particolare – vi sarebbero meno incognite sull’avvio della revisione del Patto di Stabilità e Crescita, cioè la ricostruzione della governance economico–finanziaria dell’euro. La Germania, in particolare, sarebbe meno (pericolosamente) affannata nel suo ruolo di locomotiva; la presidenza Macron in Francia sarebbe meno premuta dalla doppia opposizione (Le Pen e Mélenchon), la stessa Gran Bretagna – fuori dalla Ue – potrebbe tuttavia inaugurare una fase post-Brexit meno conflittuale con Bruxelles, Parigi e Berlino. E l’Italia?

Non mancherà certo chi proverà subito a ritorcere contro la premier Giorgia Meloni il probabile avvio di un “bidenismo azzoppato” e la possibile de-escalation della nuova “Guerra fredda” fra Occidente e Russia-Cina. Fra i fattori di successo al voto del 25 settembre gli osservatori sono stati concordi nel riconoscere alla leader FdI una fermezza pro-Nato (cioè pro amministrazione Biden) che nessun altra forza politica italiana ha espresso in campagna. È un dato di scenario che non sembra destinato a venir meno: l’atteggiamento di Washington verso l’Europa e singoli Paesi come l’Italia tende a una certa stabilità e a rapportarsi alla “lealtà” dei singoli leader. E poi il superamento della fase bellica in Ucraina sarebbe comunque nelle mani di Biden e della Nato: il nuovo governo italiano sembra potersi muovere con realistica tranquillità su questo terreno, a cominciare dai provvedimenti sul tavolo di rinnovo degli aiuti militari all’Ucraina.

Più complesso e meno decifrabile appare il gioco dei contraccolpi interni alla Ue (sarà un caso, ma la prima “crisi dei porti” del governo Meloni è stata nuovamente portata da una nave tedesca: come quella della “capitana Carola” tre anni fa). All’inquietudine della Germania sta contribuendo in modo forte il pressing Usa nel Vecchio Continente. La Polonia e i Paesi baltici hanno rialzato un muro fra Berlino e Mosca. A ovest la Francia ha tentato con qualche successo di mantenere qualche vitalità diplomatica all’Europa tenendo annodato il dialogo con Washington. E ora l’Italia del centrodestra è tornata a essere un saldo presidio atlantico (euroamericano) nel Mediterraneo. È anche questa situazione a non rendere disteso il clima infra-Ue: dove peraltro un’intesa fra Roma e Parigi continua a funzionare. Certo non ha sorpreso che per Meloni la missione in Egitto (in occasione del Cop27) si sia rivelata quasi più fruttuosa del viaggio d’esordio a Bruxelles: nessun scambio di posta fra l’Italia e la Commissione Ue si annuncia facile, né sulla legge di stabilità 2023, né sullo sviluppo del Pnrr.

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