Domani il Perù sarà chiamato a eleggere un nuovo Presidente, dopo l’innumerevole serie di scandali e relative crisi politiche che hanno sconvolto in questi anni un Paese la cui situazione economica e sociale aveva registrato dati positivi e si poteva definire in una ripresa che lo ha portato fuori dal dramma vissuto per decenni. Ma le alternative che la prima tornata elettorale di maggio ha selezionato dalle urne rappresentano una contrapposizione, non solo ideologica, nella quale, vada come vada, questa prospera nazione latinoamericana dovrà decidere il male minore ed è facile prevedere che non vivrà un futuro per niente tranquillo.
Se da una parte la liberale Keiko Fujimori si stia rivelando una scommessa su una democrazia corrotta, visti gli innumerevoli scandali che l’hanno fin qui investita, dall’altra il suo avversario Pedro Castillo rappresenta un chavismo marcato agli estremi e rischia di far precipitare il Paese nell’orbita di Cuba e del Venezuela, ergo in quell’ideale di poverismo che spacca la società in due parti contrapposte e “nemiche” in nome del principio di un’oligarchia dominante con tutti i vizi e le ricchezze del peggior capitalismo selvaggio e un popolo asservito a uno Stato Babbo Natale in grado di elargire elemosine che mai lo faranno uscire dall’indigenza.
Basti pensare che, come accaduto o sta succedendo in diversi Paesi latinoamericani che minacciano di entrare nel populismo più becero, anche qui la classe media è stata assalita da una paura talmente grande, fomentata da proclami in cui si minaccia di requisire per esempio le seconde case, che è iniziata una fuga massiccia di capitali e di persone che vogliono scappare dal Perù nel caso di una vittoria di Castillo.
Ma non è che questa nazione con Fujimori vincitrice si trasformerà in una succursale del Paradiso terrestre ma sopratutto democratica: nonostante sia appoggiata nettamente da leader industriali, intellettuali e la grande maggioranza dei partiti, la sua eventuale vittoria non sarà quella di una democrazia piena, bensì (visto il passato) di una libertà economica senza regole etiche e con rischi di grandi influenze militari nel corso del suo procedere.
Due situazioni quindi estremamente complicate e che rischiano di annullare, lo ripetiamo, i progressi raggiunti in questi ultimi dieci anni, anche se costellati da scandali, specie quello denominato Odebrecht, che ha coinvolto diversi Paesi latinoamericani ma che nel Perù ha provocato effetti comparabili a quelli del Brasile, portando alle dimissioni di diversi Presidenti incriminati, come pure Ministri, e che ha raggiunto il suo vertice più doloroso con il suicidio di Alan Garcia, due volte Presidente e che preferì togliersi la vita al momento dell’arresto.
Una situazione quindi davvero complicata qualunque sia il risultato di un voto che, seppur nella piena democrazia, avrà effetti sconvolgenti: d’altronde tutta l’area latinoamericana rischia di tornare al triste passato di caudillos politici che ha per decenni contraddistinto la sua storia che pare ripetersi in Cile e Colombia, oltre a un’Argentina ormai al collasso sia economico che istituzionale. Ed è triste pensare che, nonostante la potente arma del voto, i cambiamenti che potrebbero portare Paesi ricchissimi a godere di una meritata prosperità passino attraverso la ripetizione di errori che hanno contraddistinto il loro passato.
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