La campagna elettorale per le presidenziali americane di novembre ha avuto l’inizio “ufficiale” martedì con le primarie repubblicane in Iowa. Nel 2016 e nel 2020 l’analisi sui temi economici più decisivi della competizione era decisamente più semplici. Nel 2016 al fondo della questione c’era la delusione di una larga fetta della popolazione americana che si era sentita abbandonata dalle politiche post-Lehman; a identificare il problema, sorprendentemente, era stata l’allora Presidente della Fed Janet Yellen, oggi membro importante dell’Amministrazione democratica Biden, che aveva dato conto dell’incremento dei divari sociali e delle disuguaglianze. Quattro anni dopo, nel 2020, il tema centrale era la ripresa dai lockdown e dalle restrizioni, si pensi al settore dei viaggi, con cui si era deciso di combattere la diffusione del Covid.
Oggi il dibattito pubblico è dominato dalle tensioni geopolitiche che sono emerse nel corso della presidenza Biden: la guerra in Ucraina, il conflitto a Gaza e, da ultimo, le tensioni nel Mar Rosso. Separare queste vicende da un’analisi dell’economia americana è impossibile, ma è chiaro quali sarebbero i tre temi economici al centro della campagna se nessuno di questi conflitti si fosse presentato.
Il primo tema è l’esplosione del debito pubblico e del deficit americano durante il Covid. Il deficit americano nel 2023 è stato di quasi l’8% del Pil e la spesa militare, per quanto importante, è solo una parte di una percentuale che è fuori da qualsiasi scala per i periodi di pace o per la parentesi della pandemia. Uscire dalle politiche fiscali emergenziali con cui si sono affrontati i lockdown e le restrizioni non è facile dal punto di vista politico; pensiamo, tra i tanti temi che appassionano la società americana, agli oltre cento miliardi di dollari spesi per cancellare i debiti studenteschi. L’andamento demografico, con l’invecchiamento della popolazione e l’uscita dal mercato del lavoro per anzianità di un numero di persone superiore agli entranti, peggiora il problema. Continuare a fare deficit a questi ritmi comporta inflazione e tassi più alti e questo, a sua volta, significa mettere pressione su un sistema che da almeno vent’anni è abituato a tassi bassi.
Il secondo tema, strettamente legato al primo, è il deficit commerciale americano. Le prime avvisaglie di un cambio di rotta, esploso durante la presidenza Trump, si sono osservate nell’ultima fase del secondo mandato di Obama. Durante la campagna elettorale del 2016, che ha portato Trump alla Casa Bianca, l’esigenza di preservare e rilanciare la manifattura americana faceva capolino nel programma di diversi candidati democratici tra cui, per esempio, in quello di Elizabeth Warren. La guerra commerciale o un riequilibrio dei commerci tra l’America e l’estero è oggi un tema altrettanto attuale perché il deficit commerciale americano è più alto di quello del 2016.
Il terzo tema, strettamente connesso al secondo, è la transizione energetica. Qualsiasi cosa si pensi sui suoi effetti ambientali non ci possono essere grandi disaccordi sul suo costo sia perché bisogna costruire ex-novo un intero settore industriale, sia perché le “rinnovabili” non possono funzionare senza batterie la cui tecnologia oggi non esiste nelle proporzioni necessarie. Il tema è profondamente legato ai commerci perché competere con Paesi che non si vogliono o non si possono permettere la “rivoluzione” green in alcuni settori è impossibile.
Su questi tre temi economici ruota la campagna elettorale. Sono, ovviamente, strettamente legati al contesto geopolitico che aggrava le guerre commerciali e che fa salire i prezzi. La Fed storicamente lavora per evitare esplosioni della volatilità in piena campagna elettorale per evitare di influenzarne l’esito. Ciò concorre a mantenere le questioni economiche decisive sotto traccia.
Il prossimo Presidente si troverà un Paese con molto più debito pubblico, con un deficit fuori scala e con gli squilibri commerciali irrisolti. Non sarà semplice per nessuno.
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