Caro direttore,
desidero condividere una breve riflessione su quanto accaduto negli ultimi giorni durante l’elezione del presidente della Repubblica. L’esito finale, per cui da un punto di vista di cariche istituzionali nulla è cambiato, e lo spettacolo poco piacevole cui abbiamo assistito potrebbero far pensare che da quanto accaduto non ci sia nulla che valga la pena trattenere. Il giudizio che domina, sui social e nelle discussioni quotidiane, è quello che ormai si sente da tempo: la politica ha fallito e ha dato prova ancora una volta della sua debolezza. Giudizio vero e condivisibile.
Sarebbe però una delusione ancora più grande se non ci fosse nulla di positivo da salvare, anche da una circostanza che appunto sembra non aver portato alcun cambiamento. Sarebbe come ammettere la possibilità che il tempo e gli eventi trascorrono invano, senza darci la possibilità di imparare nulla.
Mi sono dunque domandato se, nonostante tutto, ci sia qualcosa di edificante che valga la pena trattenere. Ho identificato due elementi, che vorrei qui condividere.
Per una passione personale per la politica e le istituzioni, mi sono trovato a seguire con grande interesse il processo di elezione, leggendo articoli, discutendo con amici e captando indiscrezioni e indizi sui social. Ho notato un grande fermento e un vivo interesse da parte di molte persone. Certo, più passavano le votazioni più i giudizi negativi e le manifestazioni di disgusto crescevano. Eppure, ho colto in essi il segno di un interesse e di una volontà di partecipazione che a mio avviso non sono scontati.
Osservando questo fermento, mi sono tornate alla mente queste parole di Antonio Gramsci nelle sue Lettere dal carcere: “Tutto ciò che riguarda gli uomini non può non piacerti più di ogni altra cosa”.
È vero, gli ultimi dati delle elezioni amministrative e molti commenti che si sentono manifestano una crescente disaffezione alla politica. Eppure, il fatto che molte persone, almeno di quelle intorno a me, si siano interessate a questa elezione e si interessino ancora di politica, di cui tutto si può dire tranne che non riguardi l’uomo, è per me una conferma della verità di questa osservazione di Gramsci. Paradossalmente, l’espressione di un giudizio critico e negativo è una manifestazione ancora più palese dell’irriducibilità di questa attrattiva. Perché ci si lamenta o si esprime delusione rispetto a qualcosa? Non sarebbe più semplice lasciar perdere e disinteressarsi della cosa? Farebbe sicuramente risparmiare tempo. Se lo si fa, è perché l’interesse per quella cosa è davvero irriducibile ed è più forte della delusione.
La prima cosa positiva che questi eventi mi hanno mostrato è proprio questa: che l’uomo ha in sé un desiderio irriducibile di partecipare e interessarsi a tutto ciò che lo riguarda, compresa la politica. Anche quando essa lascia trasparire il peggio di sé, è comunque portatrice di un bene che ci attrae.
Se, da una parte, va riconosciuta questa irriducibile attrattiva, che viene prima del contenuto del giudizio espresso, occorre, dall’altra, prendere atto della pressoché unanime manifestazione di delusione e scoraggiamento. Giudizi negativi sull’attuale classe politica non sono certo nuovi e hanno il loro fondamento. Sarebbe però limitante credere che quanto si denuncia riguardi solo gli esponenti politici. È limitante per il semplice fatto che essi sono rappresentanti, sono cioè espressione e manifestazione dell’intera società che rappresentano e dalla quale sono eletti.
Dimenticarsi di questo legame può portare a credere che le mancanze e i limiti che si deplorano siano circoscritti alle mura del Palazzo. Anche in questo caso, ci precluderemmo la possibilità di imparare qualcosa di valido per noi, che non siamo nel Palazzo.
Il secondo punto che trattengo, dunque, è che questa manifesta decadenza di ideale è inevitabile se il desiderio irriducibile di cui parlavo nel primo punto non è costantemente educato. È un’evidenza facilmente riscontrabile anche nella mia esperienza. Il valore di molti luoghi associativi e comunità intermedie che fino a qualche tempo fa erano parte del tessuto sociale italiano, e che in piccola parte lo sono ancora, è stato ed è proprio questo: educare in una dimensione relazionale e comunitaria il desiderio politico individuale, per farlo esprimere in tutta la sua potenzialità.
Vale per la politica, ma anche “per tutto ciò che riguarda gli uomini”, per tornare alle parole di Gramsci. Dal lavoro a qualsiasi altra espressione del bisogno umano di costruire e creare qualcosa che sia utile. La consapevolezza che la dimensione comunitaria e relazionale è essenziale per la piena valorizzazione dei più veri ideali personali è alla base di quel rispetto attivo per l’altro che è il vero fondamento della democrazia, prima ancora di una quantità ideologica comune.
Essermi reso conto di questo mi fa dire che, nonostante nulla sia istituzionalmente cambiato e lo spettacolo sia stato poco piacevole, queste elezioni hanno portato, almeno per me, una novità positiva da custodire.
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