Pensare che si sia chiarito non solo qualche cosa ma tutto, nel “giallo” intricato dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, sarebbe veramente un azzardo. La sicurezza dichiarata lunedì da Matteo Renzi che giovedì o venerdì sarebbe stato eletto il nuovo inquilino del Quirinale si è rivelata una sorta di profezia sgangherata come in una vecchia sala-corsa dei cavalli. Ma in fondo non c’era solo Renzi a dimostrare certezze a vanvera. E questo è un fatto che denota una superficialità dilagante in questa nuova classe dirigente, un’incapacità congenita di osservare bene la realtà e di non avere una visione complessiva del presente e ovviamente del futuro. In sintesi di non sapere che cosa sia l’arte del possibile, cioè la politica.
Guardiamo con un minimo di realismo lo stato dell’arte di questa repubblica rappresentativa, si fa per dire, con un Parlamento funzionante, si fa sempre per dire, che discute le leggi, le approva e determina le grandi svolte della vita del Paese.
Certo, la prima cosa che stupisce è che ieri si siano svolte due riunioni elettorali che sembravano surreali. Nella prima, in mattinata, il segretario leghista Matteo Salvini, attivissimo come un centrocampista di rottura nel calcio moderno, e il centrodestra hanno cercato, dopo aver proposto una serie di “rose”, una “spallata”, cioè una prova di forza presentando l’attuale presidente del Senato Elisabetta Casellati (Forza Italia), sapendo che non sarebbe stata nominata e cercando solo di misurare la loro forza.
Risultato poco edificante, prevedibile e scontato: 382 voti raccolti, ben 71 in meno di quelli che avrebbero dovuto corrispondere alla forza che dispone il centrodestra unito. Mentre il centrodestra provava la sua forza, il centrosinistra disertava le urne, astenendosi.
È vero, verissimo, che quasi tutte le elezioni del presidente della Repubblica hanno riservato anche ai tempi della prima repubblica passaggi complessi e “giochi proibiti”. Ma la presenza di partiti reali, che garantivano sempre una maggioranza, alla fine vinceva il vuoto che invece emerge da questa elezione della cosiddetta “seconda repubblica”.
Dopo il fallimento della prima votazione mattutina, in attesa della seconda votazione, dove si ribadivano astensioni e schede bianche, cominciavano ad arrivare una serie di notizie incontrollate che agenzie stampa e televisioni passavano con verifiche approssimative: “Draghi ha incontrato Salvini in uno stabile di via Veneto”; poi c’erano in corso gli ennesimi e del tutto influenti vertici di centrodestra e di centrosinistra: quindi è arrivata la notizia di un vertice a tre fra Conte, Salvini e Letta.
Mentre si attendeva il risultato di una votazione del tutto inutile, maturavano “costruzioni politiche” incredibili. Tramontava la candidatura di Pierferdinando Casini, ritornavano a galla le soluzioni di Mario Draghi, ma anche quella di Sergio Mattarella (per una riconferma) e si volatizzavano tutte le candidature emerse negli ultimi due giorni. Insomma, si cominciava da capo con tutti i problemi connessi non solo per il Quirinale ma anche per palazzo Chigi.
Le sorprese però non finivano lì, perché alle 8 di sera Matteo Salvini rilanciava una candidatura femminile proposta dal centrosinistra, forse quella (anche senza pronunciarne il nome) di Elisabetta Belloni, attuale capo dei servizi segreti.
Forse quasi tutti gli osservatori e gli appassionati perdevano la “trebisonda”, ma quello che appariva più chiaro di tutto è che il Parlamento, l’attuale sistema politico, le istituzioni della Repubblica rappresentativa (si fa sempre per dire), apparivano come una “bolla” di cui gli italiani normali, quelli che devono fare i conti con la vita di tutti i giorni, non capivano più nulla e forse aumentavano in numero a ritornare all’indifferenza e al disinteresse che ha caratterizzato per tante volte la storia italiana, mentre in altre occasioni ha avuto momenti di alta partecipazione e di grande interesse sociale e politico.
Il problema di una simile soluzione, se passerà (attenzione che c’è sempre una notte di mezzo) è la fotografia della completa confusione italiana tra le cosiddette forze politiche di oggi, che non sono in contrasto l’una contro l’altra, ma sono quasi tutte divise al proprio interno: Letta che è filo-Draghi deve fare i conti al suo interno con chi si oppone e lo stesso avviene nella Lega tra Giorgetti e Salvini, e poi in formazioni minori e ancora tra chi preferirebbe una riconferma di Mattarella. Insomma, la cosiddetta “seconda repubblica” si rivela veramente in questa occasione come il “regno della confusione” sia in campo politico che nelle sue strutture istituzionali.
È vero che un buon Governo può risolvere i problemi che sono presenti nel nostro Paese, quelli che sono presenti in Europa, con il Pnrr da realizzare, le disuguaglianze che ha provocato la pandemia, che esiste ancora anche se in fase declinante, con in più una situazione economica che si fa sempre più difficile e un’incombente crisi in Ucraina di cui non si riesce a comprendere le conseguenze sul piano geopolitico oltre che su quello economico ed energetico.
Alla fine, mentre si mettevano in fila tutti i problemi che l’Italia ha davanti, è arrivato l’inutile risultato della sesta votazione, che segnala un altro tributo a Mattarella.
Si spera che oggi la questione si concluda in un modo positivo, ma uno sguardo veramente positivo sullo stato di questa repubblica è veramente impossibile. Il rischio, fatto i debiti scongiuri, è quello di non toccare il fondo, dopo tutte le capriole fatte in questi giorni.
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