Tocca ad un nuovo tris di donne, Belloni, Cartabia e Severino incalzate dal Mattarella bis, con la quasi certezza che lo spazio per ulteriori trattative si sia ulteriormente ridotto. Il giorno fatale per Elisabetta Alberti Casellati infatti cambia il quadro e impedisce qualsiasi retromarcia.

Il vertice di centrodestra che ha avvallato all’unanimità la discesa in campo della presidente del Senato, una storia politica a fianco di Silvio Berlusconi, che affonda nelle radici di FI e l’attraversa fino a raggiungere la seconda carica dello Stato, è probabilmente l’ultimo atto del rassemblement guidato da Salvini con gli esponenti sempre più in crisi del partito di Berlusconi e quelli di FdI alla sua destra. Le insalatiere hanno detto che il centrodestra non c’è più, non per annessione, non per emorragia dichiarata verso altri lidi politici, ma perché un drappello di forzisti di rito draghiano e di centristi con il pallino dell’ago della bilancia hanno silurato, pensando al “dopo”, la “loro” presidente.



I primi effetti non tardano ad arrivare. Forza Italia da ora in poi tratterà da sola per un nome condiviso, mentre Salvini può dire di avere pagato un prezzo salatissimo per i veti della sinistra e di essere alla ricerca di un’altra candidatura femminile per la prima carica dello Stato. Ci aveva provato con la Casellati, pregiudizialmente bocciata dal metodo-Letta: chi potrebbe smentirlo? È per questo che quando Conte ripropone il nome di Emanuela Belloni il capo del Carroccio non chiude, lasciando la porta aperta a quello e ad altri nomi femminili. È la vera svolta di giornata: Enrico Letta esprime “ottimismo”, ma sa che di non potere dire apertamente di no a candidature come Belloni o Cartabia. Meglio trovare altre strategie per difendere – non lo si ripeterà mai abbastanza – l’unico obiettivo del Pd: Mattarella bis e Draghi al governo, oppure, in alternativa, Draghi al Quirinale.



Eccoli, finalmente, i due veri “partiti” di questa elezione presidenziale. Da una parte Letta, difensore di un intero assetto politico, quello del Pd come perno di governo, sorretto da Mattarella alla presidenza della Repubblica e da Draghi commissario (europeo) al governo del paese. E dall’altra Salvini, fautore di Draghi al governo e proprio per questo intenzionato a rompere lo scema “consolare” Mattarella-Draghi dando un’alternativa alla presidenza della Repubblica.

Se un presidente di centrodestra, per veti lettiani, non è obiettivo raggiungibile, ben venga il rinnovamento, a partire dal genere: “lavoro per un presidente donna”, ha potuto dire di nuovo ieri sera il leader della Lega. Su questo obiettivo Salvini incontra prima Letta e poi Conte, vero sponsor della candidatura Belloni, che divide il Pd, ottiene il no di FI, Leu e renziani. Solo la giornata di oggi potrà dire se il dialogo tra l’ex ministro dell’Interno e l’ex “avvocato del popolo” cambierà il percorso dell’elezione, deviandolo dal forcing esercitato dal Pd. L’alternativa a Belloni si chiama Marta Cartabia, vicinissima a Renzi e sostenuta da Calenda. Su di lei, per ora, il Pd pubblicamente tace.



È in questo quadro che si colloca l’altra protagonista di giornata, l’Onda Montante, plasticamente evocata dall’apertura odierna di Repubblica: “L’aula vuole Mattarella” (che però prende 46 voti in meno della Casellati). Abilmente costruita dai due uomini più fidati di Mattarella lato 5 Stelle, e da Letta lato Pd, consiste nel dosare a regola d’arte i rubinetti dei voti in modo da produrre una rivolta “dal basso” del popolo anonimo dei peones contro una palude di trattative giudicate incomprensibili e dannose per il paese.

Oggi l’Onda Montante crescerà ancora, in modo direttamente proporzionale agli obiettivi che Letta si è prefissato. Dove non arriva lui, ci penseranno i suoi alleati di Forza Italia. Magari con l’aiuto di Berlusconi.

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