Poco prima della mezzanotte di ieri sono arrivati i verdetti di Piemonte e Lazio. Il candidato della Lega Roberto Cota ha battuto Mercedes Bresso, presidente Pd uscente, e Renata Polverini ha sconfitto dopo un’appassionante testa a testa durato tutto il pomeriggio la Radicale Emma Bonino. Formigoni ha dato 23 punti di distacco a Penati, Zaia ha sbancato in Veneto, la Campania va a Caldoro e Loiero consegna – anche se lui stesso dice di «non capire» – la Calabria a Scopellitti. Tutti i candidati, di centrodestra e di centrosinistra, hanno dovuto fare i conti con un forte astensionismo, che ha raggiunto cifre record proprio in regioni storicamente di sinistra, come Toscana e Puglia. Uno scenario post-voto comincia però a delinearsi. Il commento di Stefano Folli, editorialista del Sole 24 Ore.



Piemonte e Lazio hanno sorpreso tutti.

Sono indubbiamente le due situazioni più significative. La vittoria di Cota rafforza un asse del Nord, che farà sentire il suo peso all’interno della maggioranza di governo e nel dibattito politico. Dà a Bossi una vittoria sostanziale e simbolica molto importante. Ma anche senza vincere in Piemonte, la Lega avrebbe dimostrato di essere un partito molto forte. Non è facile mettere insieme il 14 per cento in Emilia Romagna. Non parliamo del successo in Veneto.



La vittoria di Renata Polverini riaprirà il fronte interno nel Pdl?

Non credo. Il centrodestra può solo essere contento di aver vinto nel Lazio, recuperando una partita difficilissima se non pregiudicata in partenza. Una vittoria difficilmente apre dei problemi, è più facile che li apra una sconfitta.

L’affermazione della Lega al nord mette all’angolo Berlusconi?

Se la Lega in Piemonte oltre ad esprimere il candidato vincente avesse superato il Pdl, si sarebbe potuto parlare di trionfo. Il suo sorpasso è stato limitato al Veneto e non ha interessato la Lombardia. Rimane il dato politico forte: Bossi diventa l’elemento propulsore più dinamico del governo. Ne detiene la golden share.



Come spiega il forte astensionismo? Crisi di rigetto verso la politica, indifferenza verso il ruolo delle regioni o cos’altro?

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Secondo me c’è un’incomprensione di fondo del ruolo delle regioni, che non è mai stato ben definito, e lo dimostra il fatto che alle comunali la partecipazione è stata maggiore. Più che di crisi di rigetto, parlerei di calo drastico di fiducia nella capacità della politica di risolvere i problemi. Non veniamo soltanto da una campagna elettorale certamente brutta. C’è una disaffezione palpabile nei confronti di certi istituti del sistema politico, le regioni, che non sembrano dare soluzioni ai problemi reali delle persone.

 

Nonostante si stia andando verso il federalismo.

 

Sì. Sarà bene che tutti facciano una riflessione su questo. Lega compresa, che si è comunque dimostrata la forza politica più capace di parlare alla gente. Ha saputo trasformare la regione in uno strumento politico efficace, indispensabile per il “salto” nel federalismo. Tutti gli altri mi sembra che paghino il prezzo di una mancanza di idee e della capacità di realizzarle.

 

Berlusconi compreso?

 

Berlusconi esce abbastanza bene da questa tornata elettorale. È riuscito a evitare che fossero elezioni di midterm contro il governo, come è successo il Francia, dove Sarkozy ha avuto una débacle. Da noi invece, nonostante l’astensionismo, Berlusconi non è stato sanzionato. Il Pdl è rimasto davanti alla Lega in Lombardia e pure in Piemonte. L’opposizione si ritrova con una regione in più, ma tutto il Nord sta saldamente col centrodestra, in fondo che cosa rimane alla sinistra? La Puglia e parte delle regioni storiche appenniniche.

 

E in casa del Pd?

 

La sinistra è stata sconfitta di misura nel Lazio con la Bonino e ha vinto in Puglia con due personaggi anomali, che ora rappresentano per gli assetti di potere del Partito democratico un’opportunità, ma anche un problema. Per il Pd si chiude una partita, ma se ne apre un’altra.

 

La politica di scontro che si è vista in questa campagna elettorale ha avvantaggiato qualcuno?

 

Secondo me ha portato a una perdita di credibilità di tutto il sistema, testimoniato dall’aumento dell’astensionismo.

 

L’astensionismo ha fatto bene a qualcuno?

 

In qualche misura se ne giovano i partiti più radicali, come l’Idv, che prevalgono quando domina lo sconcerto e la disaffezione dal voto. Ma ciò che fa pagare il prezzo più alto alla classe politica, di destra come di sinistra, è l’incapacità di realizzare e di rispondere ai bisogni delle persone, al di là dei toni feroci delle campagne elettorali.

 

Gli scontri di parte, pro o contro Berlusconi, sono la caratteristica del nostro sistema politico. Quanto hanno contato nell’astensionismo?

 

Non è poi così vero. Negli Usa i candidati si dicono cose tremende in campagna elettorale, molto peggio che da noi. Poi però il sistema funziona. Hillary Clinton ha sferrato attacchi fortissimi a Obama durante le primarie, ora però sono insieme alla guida del paese e non si sferrano calci sotto il tavolo, come fanno invece – e probabilmente continueranno a fare – Fini e Berlusconi.