Piccola guida per orientarci, domani, nel flusso di numeri che ci investirà dopo le 15 riguardo le elezioni Regionali 2020.. Chi vince? Chi perde? Cosa cambia? Seguite il manualetto e vedrete.
Il primo dato che sarà diffuso è quello dell’affluenza. Prepariamoci, non sarà elevato, soprattutto nelle 13 regioni che non devono rinnovare i relativi Consigli. Qui si combinano due fattori: il distacco e la paura. Distacco da un tema che gli italiani non percepiscono più come fondamentale, cioè il numero dei parlamentari. Mentre l’economia è paralizzata dagli effetti del lockdown, i problemi più urgenti appaiono il lavoro, la scuola, i rischi di una seconda chiusura, le prospettive prossime e remote. Rinunciare a un po’ di deputati e senatori, e poi chissà da quando, con quale legge elettorale, e con quali regole di funzionamento per il nuovo Parlamento: questioni da addetti ai lavori.
A questo si aggiunge la paura di assembramenti ai seggi, rinfocolata dai 24 morti in più comunicati ieri sera. Poiché in Italia vige la regola del Gattopardo, per cui si cambia tutto per non cambiare nulla, molti decideranno che sarà meglio stare a casa piuttosto che rischiare di respirare aria di contagio per esprimersi su una faccenda che non scalda i cuori. Ieri Repubblica titolava: “Incognita virus sul voto”. E chi ne guadagnerà? Il governo, ovviamente: se la gente non vota, significa che non sente un impellente bisogno di dare una sterzata alla situazione. E implicitamente continua a firmare la delega in bianco all’esecutivo dei Dpcm.
Ma qualcuno andrà pure a votare. E domani sera per le elezioni Regionali avremo anche 7 nuovi governatori. La Val d’Aosta fa storia a sé: autonomisti forever. Sul resto, oggi siamo 4-2 per il centrosinistra. Il quale potrà dire di avere vinto soltanto se riconfermasse la situazione esistente, visto che è impensabile conquistare qualcosa di nuovo: scalzare Zaia e Toti è un periodo ipotetico del quinto tipo, cioè fantascienza. Di conseguenza, il 4-2 per la sinistra sarebbe una vittoria a metà: una riconferma. E una terza regione sembra già persa, le Marche, dove il candidato del centrodestra è dato in netto vantaggio. Se dunque finisse 3-3, sarebbe già una sconfitta per Zingaretti e Co.
Poi c’è il caso Puglia, il più interessante di queste elezioni Regionali 2020. La regione del premier Giuseppe Conte, quella in cui le forze di maggioranza (Pd, 5 Stelle, Italia viva) schierano ognuna il proprio candidato, e perciò si misurano una contro l’altra. Quella in cui nel 2018 il M5s prese il 45% mentre ora rischia di ridursi a un terzo. È il terreno in cui prendere la temperatura al governo e capire se l’asse tra Pd e grillini che regge a Roma può funzionare anche fuori dai palazzi del potere centrale. Le ultime ore sono quelle degli accordi che non si possono dire, degli scambi di voti sotterranei, degli appelli sottovoce al “voto utile”. Se tutto ciò non funzionasse, sarebbe il 4-2 per il centrodestra. La poltrona di Conte scricchiolerebbe ma resisterebbe.
La Toscana è una regione tradizionalista, disabituata ai cambiamenti. Ci vorrà un’impennata di esasperazione per cacciare la sinistra dalla regione, una brama di liberazione da 50 anni di ininterrotto dominio rosso. Si dice che Giani e la Ceccardi siano testa a testa: se così fosse, non sarebbe da escludere il ballottaggio (lo prevede la legge elettorale regionale se nessuno dei candidati raggiungesse il 40% dei voti validi). E al secondo turno è probabile che i due candidati comunisti e i 5 stelle convergano su Giani. Per il centrodestra, dunque, l’impresa appare ardua, ma è già un successo arrivare al traguardo restando in corsa fino all’ultimo.
Infine, ecco Liguria, Veneto e Campania. Qui i giochi per aggiudicarsi le elezioni Regionali sono già fatti, stando ai sondaggi. L’elemento di maggiore interesse sarà nel Veneto, nel confronto tra la lista ufficiale della Lega di Salvini e quella che porta il nome del governatore leghista in carica. La figura di Zaia evoca quello che rappresentarono in Emilia i sindaci Guazzaloca (Bologna) e Ubaldi (Parma) una ventina d’anni fa: amministratori competenti, con un chiaro riferimento ideologico ma in grado di attirare consensi esterni, al punto di rompere il monopolio rosso. Se la lista Zaia surclasserà quella con il nome di Salvini, il campanello d’allarme suonerà per il monopolio di quest’ultimo.