ELEZIONI REGIONALI 2020: COSA CAMBIA COL VOTO? Comunque vada, sarà un successo. Lo diceva Piero Chiambretti, lo ripete fra sé e sé in queste ore Giuseppe Conte. Ha fatto di tutto il premier per allontanare dal suo governo il pericolo di finire vittima di questa complicata tornata elettorale, e probabilmente ci è riuscito, a dimostrazione di un’abilità politica che in pochi si attendevano da un neofita, e che invece si è  consolidata in due anni a Palazzo Chigi.



Non ci ha messo la faccia Conte, visto che il suo invito a democratici e grillini a unire nelle regioni le forze che sostengono il governo è caduto nel vuoto (tranne la Liguria). Non ha preso posizione né per i candidati targati Pd, né per quelli del Movimento. Solo sul taglio dei parlamentari si è sbilanciato, schierandosi per il Sì, quando ha capito che farlo avrebbe allo stesso tempo lisciato il pelo nel verso giusto ai grillini, consentendogli di intestarsi una vittoria comoda comoda.



Nelle settimane che hanno preceduto il voto si è fatto un gran parlare di rimpasto, di “tagliandi” da fare alla squadra di governo. Sull’ipotesi quello che si è raffreddato più di tutti è stato Conte, quando ha capito che il Colle non avrebbe consentito un rimescolamento delle carte senza passare da un nuovo voto di fiducia, quindi necessariamente dall’apertura formale di una crisi di governo. E in Italia si sa che quando si va a scoperchiare il vaso di Pandora degli appetiti dei partiti, quasi sempre si finisce per non riuscire a richiuderlo. Lo spettro che una crisi finisca per sfociare in un governo tecnico pesa, e non poco.



Nessuno sa con certezza ancora quale esito si celi nel segreto dell’urna, ma anche se si trattasse di un risultato particolarmente negativo per la coalizione che sostiene l’esecutivo nessuno avrebbe interesse a rigirare il coltello nella ferita. Ci sono troppe partite da definire nei prossimi mesi perché qualcuno possa immaginare di autoescludersi volontariamente. C’è la manovra per il prossimo anno da scrivere, in cui inserire le poste di bilancio derivanti dal Recovery Fund, e il dibattito sulle priorità è appena all’inizio, con gli occhi dell’Europa puntati su di noi. C’è la partita della legge elettorale, da cui nessuno vuol restare fuori (con l’intenzione di tirare una coperta perennemente corta verso il proprio presunto vantaggio). Ma c’è anche il tema scottante dei fondi del Mes, che sembrano sempre più necessari a far quadrare i conti del bilancio dello Stato, ma che continuano a trovare una fiera opposizione nei 5 Stelle. Un Movimento fortemente indebolito potrebbe alla fine essere costretto a cedere su un tema diventato una specie di bandiera.

È dentro le due forze maggiori della coalizione che, infatti, potrebbero esserci le conseguenze più pesanti del voto. Per i grillini il tema è quello dell’assemblea chiamata a designare il nuovo capo politico, continuamente rinviata in avanti causa Covid. Una percentuale deludente da Nord a Sud potrebbe ridare forza all’asse identitario fra Alessandro Di Battista e Davide Casaleggio, in opposizione a quello che ormai guarda all’alleanza organica con il Pd, che va dal premier Conte all’ex capo politico Di Maio (di cui non sono chiare le intenzioni, se voglia ricandidarsi in prima persona, oppure no).

Ancora più complicate le cose in casa democratica, dove il fuoco cova sotto la cenere, e un patatrac in Toscana potrebbe far mettere in discussione la stessa poltrona di Nicola Zingaretti. Il fronte delle opposizioni interne, dal governatore emiliano Bonaccini al sindaco di Bergamo Gori il guanto della sfida l’ha già lanciato: il “governismo” non basta, servono programmi e prospettive. Una resa dei conti interna non si può escludere, di troppo tatticismo si può anche morire.

Solo dopo che si sarà fatta chiarezza dentro i due maggiori partiti della coalizione si potrà pensare al governo, a meno di colpi di testa, o di clamorosi incidenti di percorso. Ma anche in quel caso, di incidenti, nulla sarebbe da considerare casuale. Il voto, insomma, andrà valutato soprattutto in chiave interna, rispetto ai nuovi equilibri che si potranno determinare, tanto in casa grillina che democratica.