Urne regionali amare per il centrodestra in questa tornata di elezioni. Delle due sconfitte di ieri, quella che brucia di più è in Umbria, dove nello scontro in rosa è uscita sconfitta la governatrice in carica, la leghista Donatella Tesei (46,17%). Brucia perché la regione è passata di mano. Invece il risultato dell’Emilia-Romagna era più prevedibile. Elena Ugolini (40,07%) avrebbe avuto qualche chance soltanto se il centrosinistra si fosse diviso. Ma davanti alla candidatura di Michele De Pascale (56,77%), che univa dai verdi al M5s sotto l’ombrellone del Pd, c’era obiettivamente poco da fare.



Il bilancio del centrodestra tuttavia torna positivo se si allarga il campo di analisi. A fine ottobre c’è stata la vittoria in Liguria. E nell’arco degli ultimi 12 mesi, che è l’orizzonte più adeguato per valutare la tenuta di una coalizione, il centrosinistra oltre a Emilia-Romagna e Umbria aveva vinto soltanto in Sardegna per un grossolano errore di Giorgia Meloni nella scelta del candidato governatore. Viceversa, nell’ultimo anno il centrodestra ha prevalso in Abruzzo, Basilicata, Piemonte e, appunto, Liguria.



Ma sarebbe un errore se la coalizione di governo si compiacesse di questo 4-3. In Emilia-Romagna la Ugolini non è riuscita nemmeno lontanamente a mantenere il milione di suffragi che, nel gennaio 2020, aveva raccolto la leghista Lucia Borgonzoni, fermatasi a “soli” 181mila voti dal vincitore Bonaccini, con gli stessi partiti alleati.

Ma è soprattutto il voto in Umbria che deve fare scattare un forte campanello d’allarme, di cui si era già sentito un primo squillo alle elezioni liguri. Proprio in Liguria FdI ha visto ridursi il consenso dal 26,8% delle europee di giugno al 15% delle scorse regionali; lo stesso è accaduto in Umbria, dove il partito della meloni è passato dal 32,62% delle europee al 19,44% di ieri. Segno di come Fratelli d’Italia non riesca a trasformare il consenso in radicamento sul territorio. In Emilia-Romagna, alle europee di sei mesi fa il partito della premier aveva avuto 556mila voti, ieri e domenica poco più di 340mila (-4,28%). Come in Liguria, il partito che dovrebbe trainare la coalizione è stato penalizzato dall’astensionismo. E la candidata “civica” ne ha pagato il conto. Anche in questo caso c’è una fetta di elettorato di centrodestra che sul più bello se ne sta a casa. Ma l’astensionismo non spiega tutto. Quando non c’è in campo la Meloni, il suo partito arranca. Una personalizzazione che ricorda da vicino (lo avevamo già scritto) il voto d’opinione che andava ai 5 Stelle.



Non vanno meglio in Emilia-Romagna gli alleati. Va detto che nel 2020 la Borgonzoni spaventò davvero il Pd sfruttando la popolarità e il consenso di Salvini, reduce dal ribaltone giallorosso dell’agosto 2019. L’onda lunga di quella stagione aveva portato alla candidata leghista circa un milione di voti, ora quasi dimezzati: la Ugolini si è fermata a 600mila e poco più. Avrà pesato negativamente anche il profilo di outsider della preside bolognese, ma l’Emilia-Romagna non sarebbe stata del tutto nuova a clamorose sorprese “civiche”, come dimostrano i casi di Guazzaloca a Bologna (costruita, va ripetuto, sulla divisione della sinistra) e Ubaldi a Parma. Il vero guaio della Ugolini è stato che i conti della candidatura erano stati fatti sui numeri delle europee e che i FdI non sono stati in grado di consolidare quel risultato.

La domanda che il centrodestra deve farsi adesso è come impedire che la tendenza si ripeta, perché altre regioni – a cominciare da Veneto, Puglia e Marche – potrebbero essere a rischio.

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