Eugenio Giani, il candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Toscana, sta rivendicando, durante questa lunga e difficile campagna elettorale, un modello di coesione sociale e sviluppo economico, unito alle tradizioni di buon governo, che, secondo lui e le forze politiche che lo supportano, ha fatto della Toscana una delle regioni europee più avanzate sotto diversi punti di vista.



Muovendo da questo presupposto, l’esponente del Partito democratico sostiene che per reagire alla pandemia, e a una delle crisi più gravi della loro storia, le comunità toscane devono ripartire dalla loro identità. Non si deve, insomma, per il presidente del Consiglio regionale uscente, mai dimenticare chi siamo e da dove veniamo. La Toscana è, infatti, universalmente riconosciuta, secondo il candidato Governatore, come la terra dei diritti e del buon vivere, e se sarà eletto continuerà a difendere con orgoglio queste conquiste di civiltà e di democrazia.



Si sottolinea, prima di tutto, il valore, quindi, della continuità con decenni di esperienze considerate di “Buon Governo”. In questa prospettiva si sostiene che quando si prende in consegna un mandato il primo dovere è completare il lavoro avviato non lasciando le cose a metà e non ricominciando, illogicamente, ogni volta da capo.

Nel delineare il proprio programma elettorale si fanno anche, in questa prospettiva, alcuni esempi. Rendere effettivo il Patto per lo sviluppo sottoscritto pochi mesi fa dalla Regione con le imprese e i sindacati e la gestione del complesso capitolo delle crisi aziendali e della conseguente perdita di decine di migliaia di posti di lavoro che il lockdown causerà, plausibilmente, entro la fine dell’anno.



Insieme, però, alla necessaria continuità, come in ogni elezione che si rispetta emerge, specialmente in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, la necessità di assumersi la responsabilità di introdurre innovazione e cambiamenti in molti ambiti delle politiche regionali e della macchina amministrativa. Ripensare, insomma, il “modello” Toscana senza snaturarlo e innovando portando in dote la sua esperienza amministrativa e la sua sensibilità.

Basterà questo per confermare il centrosinistra alla guida della “rossa” Toscana? È questo il grande interrogativo di questi ultimi giorni di una campagna elettorale, almeno nelle previsioni degli esperti e sulla base dei sondaggi (perlomeno fino a quando è stato possibile pubblicarli), dall’esito non così scontato come in passato.

Dall’altra parte della barricata la candidata presidente della Lega Susanna Ceccardi sostiene, altresì, che la Toscana “felix” non esista più e che, a cominciare almeno dalla Grande Crisi del 2008, qualcosa in questo sistema si sia incrinato. Secondo, quindi, la candidata del centrodestra per “ricostruire” la Toscana occorre dire basta alle ideologie e lavorare per ridurre la pressione fiscale a imprese e famiglie. Si propone, prima di tutto, di realizzare un progetto di sburocratizzazione, semplificazione e riduzione della pressione fiscale per le imprese e le famiglie che aiutino i distretti e le eccellenze toscane che hanno garantito, negli anni passati, sia una significativa occupazione che la tenuta in termini di Pil, a continuarlo a farlo. Allo stesso tempo si ritiene necessario sostenere il potere di acquisto delle famiglie abbandonando politiche di difficile accesso e tagliando gli sprechi della macchina regionale.

Per rilanciare la Toscana, scommettendo sulle infrastrutture, si vanno poi a recuperare due “storiche” proposte: il rafforzamento dell’asse che lega Firenze alla costa, un’idea nata addirittura con i Medici, e il consolidamento dei collegamenti con nord Italia ed Est europeo, sulle orme dell’ambizioso progetto dei Lorena di un collegamento ferroviario pieno tra Vienna e Livorno, attraverso Trieste, Venezia, Verona, Bologna e Firenze.

Ha ragione Giani o piuttosto Ceccardi? La verità, probabilmente, come sempre nella vita, sta nel mezzo. Una classe dirigente, anche capace, sembra essere, a prescindere dall’esito elettorale, alla fine di un ciclo e in tempi in cui le ideologie tradizionali non fanno più presa sui cittadini/elettori anche una svolta a destra, fino a pochi anni fa impensabile, oggi, anche in Toscana, è un’ipotesi da prendere in considerazione. Se questo accadesse vi saranno, certamente, ripercussioni importanti sulla maggioranza e sul Governo giallo-rosso.

Crollerebbe, inoltre, in profondità, un modello politico, socio-economico e di welfare dove, tradizionalmente, le parti sociali hanno collaborato proficuamente e che, insieme all’Emilia, veniva proposto come esempio da trasferire ad altri territori e, in definitiva, a tutto il Paese. Viene da chiedersi, quindi, se, e quanto, dopo le elezioni di domenica e lunedì, il Partito democratico, in Toscana come nelle altre regioni al voto, potrà ancora definirsi l’erede del “fu” Partito dei Lavoratori.