Il passaggio elettorale difficilmente sarà privo di impatti sul cantiere della Rete Unica. Basti pensare al referendum del dicembre 2016, simile nella materia a quello in svolgimento fra ieri e oggi. Il salvataggio di Mps da parte del fondo sovrano del Qatar era pronto per la firma: ma poche ore dopo la chiusura dei seggi il premier Matteo Renzi – che di quel piano era artefice e garante – si dimise. E svanì all’istante l’ultimo tentativo di mettere in sicurezza il Monte senza ricorrere alla ripubblicizzazione. Nell’autunno 2020 sarà interessante capire quanto la relativa debolezza della compagine di governo – già tale prima del voto – sarà condizione favorevole o no allo sviluppo del progetto Grande Rete. La scarsa presa reale dell’esecutivo Conte-2 sui grandi dossier di business ha ad esempio agevolato il successo dell’Opa Intesa su Ubi. Si è rivelata invece sterile – almeno finora – nello sblocco della vicenda Autostrade, con Palazzo Chigi in veste di player principale.



Che il Grande Accordo annunciato tre settimane fa da Tim e Cdp come soggetti-chiave sia già “in pausa”, anzitutto in attesa del chiarimento politico, è risultato evidente nel fine settimana. Il Presidente di Tim – l’ex Direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi – in un’intervista è stato categorico: l’ex monopolista di Stato delle tlc italiane è deciso a mettere a fattor comune la sua rete come “motore di crescita” in un progetto-Paese sul digitale di nuova generazione. Ma la “maggioranza azionaria” della futura società-Rete deve restare a Tim anche se quest’ultima accetta di non avere la maggioranza del Consiglio d’amministrazione. È esclusa ogni ipotesi di “Rete unica di Stato” – ha sottolineato Rossi – così come “la tutela della concorrenza è centrale, ma va contemperata con l’interesse dei consumatori ad avere una rete ultraveloce”.



Il progetto Rete Unica rimane dunque “Tim-centrico”: ancorato in particolare all’operazione Fibercop, per la quale tuttavia Rossi ha citato come partner solo Fastweb e Tiscali, senza alcun riferimento all’intervento del fondo globale Kkr. Nessun accenno anche a OpenFiber, l’originario contenitore di sviluppo della rete NGN in Italia. Ma intanto i lavori fervono anche “al di là del muro”: dove un altro fondo globale (Macquarie) ha offerto a Enel 2,65 miliardi per cedere il 50% di OpenFiber e abbandonare così il tavolo della Grande Rete. Macquarie, secondo ultimi rumor di mercato, pur di promuovere il piano sarebbe disposta anche a rivendere con sconto alla Cassa depositi e prestiti (titolare dell’altra metà di OpenFiber) la quota necessaria nell’ambito del disegno finanziario. 



Dal 31 agosto, in ogni caso, è cambiato dell’altro a cavallo fra politica, finanza e industria Ict-media. La malattia di Silvio Berlusconi, per quanto superata, ha rinfocolato le voci sulla sua possibile volontà di dare nuovi assetti a Mediaset (si è parlato di un interessamento di Discovery), laddove Piersilvio Berlusconi aveva subito annunciato l’attenzione del Biscione per la Grande Rete. Ma negli ultimi giorni si è avuta anche conferma della scelta del Governo italiano per il ricollocamento della Borsa Italiana post-Brexit. Il partner sarà Euronext: francese come Vivendi, titolare del 24% di Tim e del 29% di Mediaset.