Mentre i comuni cittadini si riprendono dal cenone o si concedono qualche giorno di vacanza, nelle segreterie dei partiti lombardi l’attività ferve in vista delle elezioni regionali. Sabato 14 gennaio entro le 13 vanno depositate le liste corredate da un congruo numero di firme per quei simboli non presenti nell’attuale Consiglio regionale. Le candidature e le firme vanno raccolte su base provinciale in almeno 5 province pena l’esclusione dal voto e per i piccoli partiti o le liste civiche non è impresa di poco conto. Proviamo a fare un quadro con le notizie disponibili oggi.
Centrosinistra. Il Pd punta sui sindaci o amministratori locali, assolda il virologo Pregliasco (figura divisiva persino in famiglia, servirà?) e imbarca come indipendente il medico Usuelli già consigliere per +Europa in dissenso col suo partito che ha deciso di appoggiare Moratti. Majorino è certamente un buon candidato, molto spostato a sinistra, in grado di intercettare i voti dei 5S ma non quelli del moderati e dei miglioristi. I cattolici del Pd sembrano però spariti: Fabio Pizzul dopo molti anni in Consiglio non si ripresenta e al momento non si vede all’orizzonte un personaggio autorevole in grado di rappresentare l’area ex Margherita. Si aspettava Alberto Mattioli, ma pare abbia declinato. Il sondaggio proposto ieri da La7 è molto generoso con Majorino accreditato di un 40% tondo: la maggioranza dei sondaggisti lo pesa tra il 30% e il 35% e a occhio pare un giudizio più realistico.
Terzo Polo. Lo stesso sondaggio attribuisce all’ex sindaco di Milano ed ex vicepresidente regionale Letizia Moratti il 15% equamente diviso tra Azione-IV e la sua lista civica. Certamente chi vive a Milano avrà la netta sensazione che Moratti valga di più, ma bisogna tenere conto che il voto regionale è la somma di tanti localismi e in Val Brembana o a Viadana Po molti non sanno neppure chi sia la Moratti. Da ricordare a titolo scaramantico che mai nessun milanese è diventato governatore della regione tranne il primo e vero artefice del regionalismo Piero Bassetti. Golfari e Formigoni erano lecchesi, Guzzetti comasco, Tabacci mantovano, la Ghilardotti cremonese, Arrigoni valtellinese, Maroni e Fontana varesini. Andando oltre la cabala, Moratti non sembra in grado di ribaltare il tavolo: la scommessa di prendere voti a destra per governare con la sinistra pare irrimediabilmente persa. Dovrà accontentarsi di un dignitoso ruolo di opposizione sempre che decida di rimanere in Consiglio, cosa per nulla scontata. Col senno di poi avrebbe fatto meglio ad accettare la presidenza del Comitato Milano-Cortina: capacità manageriale e ampie conoscenze internazionali non le mancano.
Centrodestra. Accreditato di un 45% nei sondaggi (ma molti indicano il 42% come soglia fisiologica rispetto al 47% di cinque anni fa), Attilio Fontana sembra aver la strada spianata verso la riconferma, basta infatti un voto in più degli avversari. Sarebbe però comunque un’anatra zoppa: per la prima volta il Presidente non sarebbe espressione del partito di maggioranza relativa e questo peserà non poco sia sulla composizione della giunta sia sulle scelte politiche di fondo che devono passare dal vaglio dell’assemblea regionale. C’è agitazione soprattutto nel gruppo della Lega, forte finora di 31 consiglieri e destinato a dimezzarsi. Sarà una lotta all’ultima preferenza specie a Milano dove i posti passeranno dagli attuali 6 a probabilmente 2 con gli uscenti Riccardo Pase e Silvia Scurati in pole position. Da sciogliere ancora il nodo dei dissidenti bossiani, ci dovrebbe pensare Giancarlo Giorgetti in queste ore. Ampio spazio per le new entry in casa Meloni che peraltro aveva già fatto shopping di consiglieri negli ultimi due anni di legislatura. In casa Forza Italia, destinata anch’essa a una consistente cura dimagrante, prevarranno i recordman di preferenze come a Milano Giulio Gallera (che pare essere riuscito nell’impresa di far dimenticare qualche incertezza nell’approccio alla pandemia) e Gianluca Comazzi, forte del suo bacino di voti animalisti e di consensi personali. La confusione invece regna sovrana tra le liste minori: Noi Moderati annuncia una propria lista, ma perde un pezzo da 90 come Matteo Forte che a Milano si candida in Fratelli d’Italia. Cesa, invece, fa una lista a forte connotazione cattolica con Rotondi e Brugnaro (ma non erano insieme in Noi Moderati fino a un mese fa? boh) sempre a sostegno di Fontana e poi c’è la civica del Presidente (Lombardia Ideale) intenzionata a ripresentarsi. Fontana si frega le mani perché sono tutti voti in più per lui, ma il rischio è che nessuna di queste liste minori raggiunga il quorum e che i resti vengano attribuiti alle liste più consistenti, segnatamente a Fratelli d’Italia.
Cattolici. Già detto dei cattolici del Pd al momento non pervenuti, vediamo il quadro delle candidature negli altri due schieramenti. Nel Terzo Polo si fanno i nomi di Gigi Farioli, già Sindaco di Busto, nella circoscrizione di Varese, mentre a Milano spunta in nome di Giovanni Kirn di Rho che aderisce al progetto Rete Popolare di Mario Mauro e di Filippo Campiotti che si era già candidato alle Politiche. Nel centrodestra ancora ignoto il nome del capolista a Milano di Noi Moderati (ma sarà un fedelissimo di Maurizio Lupi e di Alessandro Colucci) a rischio di elezione visto lo striminzito 1,39% preso alle recenti politiche, mentre a Varese il capolista sarà l’assessore uscente Raffaele Cattaneo. A Milano si fa il nome di Carmelo Ferraro nella lista Lombardia Ideale, mentre è certa la presenza di Deborah Giovanati nella Lega e di Matteo Forte in Fratelli d’Italia che imbarca anche Maria Teresa Vivaldini, Sindaco di Pavone del Mella a Brescia e Claudia Toso, già candidata con Parisi alle Europee, in Brianza. Sempre in Brianza ma per Forza Italia dovrebbe correre anche l’attuale presidente del Consiglio Pari Opportunità della regione Letizia Caccavale. A Milano per Forza Italia potrebbe rispuntare il nome di Maurizio Broccanello, mentre a Varese scalda i motori Pietro Zappamiglio, quel che resta del gruppo dell’ex coordinatore regionale Salini defenestrato dalla Ronzulli pochi mesi fa. Insomma, un quadro più frammentato non si potrebbe immaginare e davanti alla quasi certa irrilevanza politica in molti spunta la richiesta se non di un partito unico almeno di un luogo comune di confronto e di giudizio. Ma le tante prime donne in campo avranno l’umiltà di sedersi tutti allo stesso tavolo senza accampare primogeniture? Visti i precedenti il dubbio è legittimo.
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