Mancano 10 giorni alle elezioni regionali in Lombardia e i giochi sembrano fatti. Gli ultimi sondaggi pubblicabili parlano di un distacco in crescita tra Fontana e i suoi inseguitori: tra i 15 e i 20 punti nei confronti di Majorino, addirittura più di 30 con la Moratti, forse la più deludente rispetto alle attese. Dunque regionali lombarde già archiviate?



A vedere il nervosismo che serpeggia tra le file della maggioranza non si direbbe. Se la partita sul presidente sembra in cassaforte (a meno di un imprevedibile crollo dell’affluenza alle urne sotto il 50%) divampa una lotta all’ultimo sangue tra le liste del centrodestra e al loro interno tra i singoli candidati.



Il sondaggio Noto attribuisce ad esempio al partito di Giorgia Meloni un fantasmagorico 26% (pensare che nel 2018 aveva preso il 3,6%…) che si tradurrebbe nel caso di successo di Fontana con almeno il 40% dei consensi (oggi le stime vanno da un 48 al 51%) in circa 27 consiglieri. Sempre seguendo le stime di Noto, 12 scranni andrebbero alla Lega, 6 a Forza Italia, 2 alla Lista Fontana, diventata una sorta di contenitore di mini-partitini e movimenti di ispirazione centrista, e 1 a Noi Moderati di Lupi e Sgarbi.

Ovviamente sono ipotesi, il meccanismo è complesso e l’attribuzione dei seggi avviene su base provinciale, quindi vi potrebbero essere oscillazioni anche forti e molti colpi di scena specie per le liste meno votate.



Non tutti i sondaggisti peraltro concordano con Noto sui dettagli: Ipsos ad esempio attribuisce a Forza Italia un più realistico 6,5% invece del lusinghiero 9,5% del guru napoletano dei sondaggi. Se così fosse Forza Italia perderebbe un seggio a favore probabilmente della Lega che passerebbe dagli attuali 31 consiglieri a circa un terzo e dunque battaglia all’ultimo sangue sulle preferenze per rientrare tra gli eletti, specie a Milano dove compaiono alcuni volti nuovi accanto ad altri ben collaudati.

Maggior serenità invece in casa Meloni, dove i probabili posti sono tanti e gli uscenti pochi: gli attuali 6 consiglieri (di cui solo due eletti nella lista di Fratelli d’Italia, gli altri quattro provengono da altri gruppi) dovrebbero essere tutti riconfermati. Invece dei 31 consiglieri di minoranza compreso Majorino, che entra di diritto in quanto secondo candidato presidente più votato, la metà circa andrebbe al Pd, mentre i 5 Stelle accreditati di un modesto 6,6% dovrebbero accontentarsi di 3 o 4 consiglieri. Buon successo di Azione-Italia Viva che porterebbe a casa 4 o 5 seggi mentre 3 andrebbero alla Lista Moratti. Fuori senza appello la candidata di Unione Popolare, la coraggiosa Mara Ghidorzi.

Questo il puro dato numerico, che nella complessa geografia istituzionale del Pirellone va però incrociato con le provenienze geografiche. Ogni provincia infatti ha un numero di seggi proporzionale alla popolazione e un corrispondente peso politico da giocarsi nei rispettivi partiti al momento dell’attribuzione delle posizioni. Scontata la leadership della Città metropolitana di Milano (25 consiglieri), seguono la Leonessa (Brescia) con 10 consiglieri e la cugina Bergamo con 9. Da queste tre province scaturirà la maggior parte degli assessori e dei componenti degli uffici di presidenza e delle commissioni. A ruota ci sono Varese e Monza-Brianza con 7 consiglieri e via via tutte le altre. Fanalino di coda Sondrio con 1 solo consigliere.

Mentre il quadro post-elezioni comincia a delinearsi e i candidati sono sul territorio a raccogliere le ultime preferenze, le segreterie politiche (almeno quelle della probabile maggioranza di centrodestra) sono già in fibrillazione per la spartizione delle poltrone. Un comunicato di Fratelli d’Italia (poi parzialmente corretto) avanzava la richiesta dell’80% di posti in Giunta inclusa ovviamente la vicepresidenza e la presidenza del Consiglio.

Con 12 assessori meloniani su 16 Fontana sarebbe di fatto commissariato e i posti a disposizione per gli altri partiti della coalizione ridotti al lumicino. Gli esperti di trattative sostengono che si ripiegherà su un più ragionevole e meno umiliante fifty-fifty soprattutto se, come alcuni sondaggi indicano, Fontana raccoglierà un consenso personale pressoché analogo a quello delle liste che lo sostengono smentendo la narrativa del “candidato debole”. E sarebbe una bella rivincita anche per Salvini, che lo ha sempre sostenuto anche quando debole lo era per davvero. Per la poltrona di presidente del Consiglio si fanno molti nomi: da Mazzali e Alparone di FdI a Gallera di FI. Difficile una riconferma dell’attuale presidente in quota Lega.

La voce di queste ore è quella di un ritorno in campo di Mario Mantovani alla Sanità da cui era stato allontanato nel 2015 per le note vicende giudiziarie poi risoltesi con l’assoluzione: ipotesi sgradita a Fontana, che vorrebbe confermare il tecnico Bertolaso, ma anche ad alcuni settori di FdI che gradirebbero un ricambio generazionale. Del resto l’anno prossimo ci sono le europee e qualche asso la Meloni deve pur tenerselo nella manica…

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