Brescia si prepara al voto per il sindaco con una sfida sostanzialmente a due fra centrodestra e centrosinistra. Nella tornata elettorale del 14 e 15 maggio è uno dei principali capoluoghi chiamati alle urne. Soprattutto sono elezioni che segnano la fine dei dieci anni di amministrazione del sindaco Pd Emilio Del Bono, epigono di una lunga tradizione di governo egemonizzata dalla sinistra democristiana.



Il primo cittadino uscente, nel segno della cosiddetta “continuità”, ha voluto candidare la sua vice Laura Castelletti, ex socialista passata poi a una lista civica di area centrosinistra, fortemente sbilanciata sulle battaglie sui nuovi diritti. Una sorta di mix fra sinistra Ztl e modello Schlein, senza particolari qualità amministrative.



A sfidarla c’è Fabio Rolfi, leghista, ex assessore regionale all’Agricoltura, sostenuto da sei liste di centrodestra, che non si lascia distrarre dai sondaggi che danno per favorita la candidata del centrosinistra: “Non credo a pronostici orientati, credo a una città che ha voglia di ascoltare idee e visioni nuove dopo trent’anni di sostanziale governo delle stesse persone. Vedo che c’è un grande entusiasmo sulla nostra proposta di un centrodestra urbano che ha idee molto chiare sullo sviluppo della città, sui valori da mettere al centro dell’azione amministrativa, sulla centralità della famiglia, sulla sussidiarietà, sulla sicurezza come elemento fondamentale per la vita di una comunità”.



In molti oggi parlano di sussidiarietà con accezioni non sempre simili, concretamente nel vostro caso cosa significa?

Significa abbandonare l’idea di un comune che pianifica tutto dall’alto, per passare a un’amministrazione che co-programma e co-progetta con coloro che fanno già le cose, gestiscono i servizi, si fanno carico dei bisogni delle persone, per aiutarli a fare meglio e ancora di più. Questa è la sussidiarietà e mi permetto di aggiungere che è un elemento caratterizzante la storia di Brescia. È la storia di una comunità che nei secoli si è organizzata per dare risposte. Non partire dal riconoscimento di questo valore significa non saper leggere le caratteristiche della “brescianità”.

Cosa è mancato in questi dieci anni di giunte di centrosinistra?

Secondo me è finito un ciclo con la conclusione dell’esperienza del sindaco Del Bono. Oggi c’è bisogno di guardare al futuro, di avere un’amministrazione che sappia ricucire le distanze fra il centro e le comunità di quartiere. E questo vuol dire anche capacità di ascolto dei bisogni della gente, prossimità nelle risposte, sicurezza, attenzione ai ceti popolari, servizi alla persona che sappiano intercettare e rispondere ai bisogni emergenti. Penso al grande tema educativo che riguarda i giovani. Al contempo significa affrontare la sfida di una città che deve crescere, tornare a essere protagonista del territorio in cui è collocata, interessarsi dei problemi che la riguardano in un’ottica metropolitana, dall’ambiente alla qualità dell’aria, ai trasporti fino alla gestione del traffico. Sono tutti aspetti da affrontare su una scala sovracomunale e Brescia in questi anni ha smarrito questa capacità di visione che è quella che noi vogliamo offrire con un cambio di classe dirigente anche in termini anagrafici. Abbiamo dall’altra parte una classe dirigente che si ricandida per la settima o ottava volta.

Si riferisce al candidato sindaco del centrosinistra?

Anche ma non solo. Dopo trent’anni inevitabilmente gli stimoli vengono meno e l’unico problema è la conservazione di un potere autoreferenziale.

A Brescia c’è il nodo irrisolto ormai da ben oltre vent’anni delle aree dismesse a ridosso del centro storico. Per il Comparto Milano con i suoi relitti industriali non ci sono soluzioni in vista, a questo si aggiunge adesso il problema del centro commerciale Freccia Rossa aperto nel 2008 e ora già chiuso. Che idee avete in merito?

La città in questi anni ha continuato a utilizzare gli stessi schemi del passato. Il Freccia Rossa ne è un esempio: l’area dismessa che si riqualifica facendo un centro commerciale che ha contributo a indebolire la rete commerciale del centro storico. È uno schema vecchio, superato, abbiamo bisogno di una visione un po’ più ambiziosa che guardi anche agli esempi di altre città. Io ho usato più volte come immagine per descrivere il Comparto Milano a cui penso quella della nostra City Life perché nel frattempo il nostro territorio è cambiato. Oggi l’alta velocità ci collega a Milano in trenta minuti. Non è uno scenario utopistico pensare al fatto che una città come Brescia possa diventare competitiva con Milano nel mettere a disposizione di aziende e persone che lavorano nella metropoli lombarda un contesto di qualità della vita migliore. Bisogna però offrire una visione di città, una proposta di riqualificazione, di residenzialità, una capacità attrattiva che sia all’altezza di questa sfida che l’opportunità dello sviluppo infrastrutturale oggi ci mette di fronte.

E poi?

Secondariamente serve una capacità di pianificazione del territorio non vincolistica. Brescia dal punto di vista urbanistico è piena di ostacoli, di norme restrittive, di una visione che tende a vedere l’impresa privata (in questo caso del comparto edile) come soggetti da tassare e limitare. Credo invece che l’impresa sia un fattore positivo per lo sviluppo di un territorio e quindi le proposte di rigenerazione le costruiremo insieme.

Spesso però non può negare che la riduzione dei vincoli nei fatti ha voluto dire più cemento…

La rigenerazione non è cementificazione. Parliamo di rigenerare ambiti urbani già trasformati. Che la città non possa più espandersi mi sembra abbastanza evidente, ma poi occorre dare risposte. Per esempio la questione del nuovo carcere: sono trascorsi dieci anni e per la fissazione della giunta uscente nel non voler costruire neanche un metro quadrato in più nel sito di Verziano ci ritroviamo ancora il carcere di Canton Mombello lì dov’è. Una vergogna in pieno centro storico. È l’esempio di quando purtroppo l’ideologia frena lo sviluppo della città.

Brescia sembra per ora reggere meglio di altre aree del Paese la crisi demografica. La giunta uscente si consola con il lieve aumento della popolazione in città, ma il problema esiste ed è grave. Nella vostra agenda cosa avete previsto?

Come è uno dei temi principali del Paese lo è anche di una città come la nostra, che non può affrontare da sola questo problema ma deve sapersi allineare con le politiche coraggiose che il governo sta delineando, non andare in controtendenza. Per quanto ci riguarda lo vogliamo fare con il piano comunale per la maternità. Stanzieremo risorse ripensando il sistema del welfare in funzione della famiglia e sostenendo la maternità. Prevediamo un premio alla nascita di mille euro per ogni bambino che nasce a Brescia perché, a mio modo di vedere, fare un figlio ha anche un valore pubblico. E ancora si tratta di realizzare nuovi servizi: per esempio un assegno comunale per il diritto allo studio che deve integrarsi con soglia Isee agli aiuti regionali per aiutare le famiglie che oggi ne sono escluse pur essendo in graduatoria. Abbiamo pensato a interventi sul trasporto pubblico e anche al rilancio di una grande esperienza della tradizione educativa bresciana come gli oratori, che devono tornare a essere – e lavoreremo con la Diocesi su questo – luoghi centrali di crescita, educazione, formazione e socializzazione, immaginando che lì dentro possano entrare nuovi servizi come un doposcuola strutturato sul modello di Portofranco a Milano che mi piacerebbe portare a Brescia per aiutare le famiglie.

Non se ne parla ma Brescia che è, insieme a Torino, il cuore dell’industria italiana dell’automotive rischia di essere travolta dalle nuove regole del Green Deal europeo con ricadute pesantissime sui posti di lavoro. Intendete assistere come spettatori a quanto potrebbe accadere?

Questa situazione purtroppo è figlia di quell’ideologia ben rappresentata nella coalizione di centrosinistra che ha anche una lista guidata dai ragazzi di Fridays for future secondo la quale la sostenibilità ambientale deve essere imposta attraverso vincoli e limitazioni. Io non la penso così. Sono invece convinto che il motore della sostenibilità ambientale sia l’impresa e su questo fronte il nostro territorio ha fatto passi da gigante in questi anni. E questo risultato si ottiene attraverso l’innovazione che è il processo, come diceva Schumpeter, di fare cose vecchie in modi nuovi. Quindi di continuare a produrre e a essere una grande città e una grande provincia manifatturiere (una tradizione di cui non ci vergogniamo, anzi), coniugando la sostenibilità ambientale con quella sociale ed economica.

Cosa può fare la città in tal senso? 

Deve qualificarsi sempre più come ecosistema dell’innovazione e della conoscenza. Guardo con grande interesse al progetto della cittadella dell’innovazione che il mondo imprenditoriale ha avanzato e sul quale il comune deve acquisire un ruolo di regia, non soltanto urbanistica ma anche di guida, per fare in modo che la città diventi il luogo fisico in cui formare le conoscenze, le competenze, il know how, le sperimentazioni in modo sinergico. L’innovazione costerà sempre di più alle imprese, bisognerà condividerla, condividerne anche i rischi e i fallimenti a favore di un territorio manifatturiero che è chiamato a un grande cambiamento.

Con i livelli attuali di astensionismo Brescia rischia di avere un sindaco votato dal 20 per cento dei bresciani. Cinque anni fa Del Bono fu scelto da meno del 30 per cento degli elettori. Una sfida impossibile portare la gente alle urne?

Abbiamo cercato di affrontarla con un centrodestra rinnovato con tre liste civiche che candidano novanta persone che non si sono mai occupate di politica, imprenditori, esponenti del mondo dello sport, dell’associazionismo, del volontariato. La risposta migliore all’astensionismo, alla distanza fra politica e cittadini è coinvolgere le persone. Ai bresciani chiedo il coraggio del 51 per cento, non è utopia, bisogna crederci, la città deve guardare al futuro, immaginare una classe dirigente che abbia la forza, l’entusiasmo, l’energia, gli stimoli per progettare la Brescia dei prossimi vent’anni. Non mi sono messo in gioco abbandonando quello che facevo in Regione, magari anche in posizioni più tranquille, per governare l’ordinario, ma per progettare la città che verrà e che sarà quella dei nostri figli. E penso che il centrodestra abbia oggi a Brescia tutti i requisiti necessari per questo.

(Piergiorgio Chiarini)

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