Putin resta in sella, con 87% dei consensi. E con i sei anni assicuratigli dalle elezioni appena concluse arriverà a 30 anni di potere ininterrotto. La sua Russia, spiega Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, dovrà fare i conti con provvedimenti anche impopolari, come la mobilitazione generale per reclutare nuovi soldati per la guerra e per la sorveglianza dei confini e l’aumento delle tasse. Temi accuratamente accantonati durante la campagna elettorale, ma che con tutta probabilità torneranno d’attualità, creando scontento tra la gente.
È l’economia l’incognita del futuro del Paese, che deve ancora capire quali saranno gli effetti di lungo periodo delle sanzioni e della mancanza di manodopera, alla quale si cerca di sopperire con intese bilaterali, ad esempio quella che porterà 10mila lavoratori dal Kenya. Quanto al successore di Putin, il problema non si pone: c’è un sistema che si fonda sui servizi e sugli oligarchi vicini allo Stato e che perpetua sé stesso. Chiunque arriverà dopo lo zar non farà altro che perpetuare un sistema collaudato.
Cosa ha in mente Putin per il dopo elezioni, altre “riforme” per la Russia? Su quali dossier dovrà concentrarsi?
Potrà esserci qualche turnover nelle istituzioni, ma quella è ormai una casta “pietrificata”: non c’è bisogno di grandi cambiamenti, non essendoci nessuna alternativa. Ci sono Nikolaj Patrushev, il capo della sicurezza, colui che regge veramente la Russia, Sergej Kirienko, responsabile dell’amministrazione presidenziale, che esegue le volontà del capo, il primo ministro Mikhail Mishustin, il sindaco di Mosca Sergej Sobjanin, appena riconfermato.
Se nella nomenclatura non cambierà niente, a quali provvedimenti si dedicherà il presidente confermato?
Prima delle elezioni si cerca di non toccare argomenti sgraditi. Ma la prima decisione sgradita, che tutti temono, riguarda la guerra: la nuova mobilitazione generale che probabilmente verrà lanciata dopo il voto. La Russia rilancerà dal punto di vista militare: in Ucraina le votazioni previste non si sono svolte perché siamo in periodo bellico; così Mosca, anche alla luce delle attuali elezioni, accusa Kiev di essere una democrazia finta. Riproporrà l’opzione militare motivandola come difesa dell’Ucraina dall’Occidente. Accanto al conflitto ci sono le tensioni nei territori autonomisti della Gagauzia e della Transnistria, sede di insediamenti storici di soldati dai tempi sovietici, c’è la questione dei Paesi Baltici e della Finlandia, entrata nella NATO, e quindi con confini che vanno controllati, dell’enclave di Kaliningrad, difficile da raggiungere perché Lituania e Polonia bloccano il corridoio per i russi. Per questo da tempo si aspetta la mobilitazione di altri soldati: Putin lo deve fare perché ritiene che il Paese debba essere tutto mobilitato per difendere la patria.
Di nuovi reclutamenti non s’era parlato nel programma, Putin li farà lo stesso?
Anche nelle elezioni del 2018 aveva promesso che non avrebbe aumentato l’età pensionabile. Dopo il voto, però, l’ha aumentata, suscitando parecchie proteste. Allora però c’erano i Mondiali di calcio: dissero che si trattava di tifosi esagitati. Adesso, invece, ci si aspetta l’aumento delle tasse. C’è stata la caduta del rublo, il passaggio a un’economia sempre più autarchica. La guerra ha provocato uno spaventoso calo demografico e la mancanza di forza lavoro.
Come cercheranno i russi di ovviare alla carenza di manodopera?
La Russia deve rilanciare la politica delle migrazioni lavorative, dall’Asia centrale, dalla Sud Corea, dall’Africa, dall’India. Sta cercando di attrarre lavoratori: ha fatto un accordo con il Kenya in base al quale dovrebbero arrivare 10mila persone. Nel discorso che Putin ha fatto al Senato prima delle elezioni ha parlato molto anche dell’economia: usando cifre fantasiose ha annunciato che la Russia è la quinta economia mondiale e la prima in Europa, per far vedere che non soffre le sanzioni e che oltre a vincere la guerra sul campo lo sta facendo anche nell’economia.
La mobilitazione, le tasse, la mancanza di forza lavoro: tutti temi che potrebbero dare adito a qualche protesta?
Creano scontento, però le tasse le aumenterà ai redditi alti, alle aziende private: si va verso una nuova statalizzazione dell’economia, simile a quella dell’era sovietica. Nei primi due anni di guerra l’economia russa ha retto abbastanza bene, nel primo anno addirittura ha realizzato guadagni spaventosi perché non si sentiva ancora l’effetto delle sanzioni. Adesso vendono gas e petrolio non più all’Europa ma al resto del mondo (Cina, India) ma a prezzi più bassi. Cominciano adesso a soffrirne. Non è neanche tanto chiaro fino a che punto: bisognerà vedere quanto la crisi economica peserà sul futuro del Paese. Quanto alla protesta, sarà molto difficile: oggi in Russia arrestano anche solo se si porta un fiore davanti a un monumento.
D’altra parte neanche le vittime della guerra sono state un motivo per animare chissà quali proteste, giusto?
Le mogli dei soldati al fronte hanno chiesto di far tornare i loro mariti e con la mobilitazione generale forse si potrebbe fare un po’ di ricambio, provocando ulteriore scontento nelle famiglie i cui cari sono stati costretti ad andare in guerra. Un meccanismo difficile da controllare.
Nei piani di Putin poi ci sono aspetti più ideologici: quali sono i valori sui quali si punterà per rilanciare la Russia?
Vuole rilanciare i valori tradizionali della famiglia, dei figli, cercando di cambiare un Paese che a livello di vita sociale è rimasto a livelli sovietici: famiglie inesistenti con il numero di aborti statisticamente più alto al mondo. Divorzio e aborto li introdusse Lenin nel 1918: nell’ideologia sovietica la famiglia era stata quasi annullata perché faceva tutto lo Stato. Adesso c’è una campagna del tutto formale contro l’aborto e per la famiglia in un Paese che, appunto, ha i numeri di interruzioni della gravidanza e divorzi più alti a livello mondiale. Non parliamo della lotta contro LGBT e omosessuali: non ho mai visto un Paese con più omosessuali della Russia. È molto diffusa: c’è un’ipocrisia di fondo incredibile.
Putin è al potere da 24 anni e ora potrà continuare: si sta pensando a una transizione, a qualcuno che potrà prendere il suo posto? E chi prepara l’alternativa?
È una questione di sistema. Putin è un personaggio anonimo, non ha nessuna cultura, nessuna moralità se non quella del KGB. Per questo per la successione si può scegliere chiunque tra quelli che stanno al Cremlino, non cambierebbe niente. Non è un problema di carisma del capo. Non c’è nessun tipo di preparazione alla successione. Il nuovo Putin avrà un altro cognome ma sarà sempre Putin.
Ma in questo ventennio abbondante come è cambiato il potere? Su chi si fonda adesso?
Putin ha creato una struttura verticale attirando gli oligarchi disposti ad appoggiare lo Stato e cacciando gli altri. Ha annullato i poteri regionali, delle cento regioni della Russia, togliendo le elezioni dei governatori, che sono tutti nominati dal Cremlino, e ha saldato il rapporto con la Chiesa ortodossa come la struttura che fornisce l’ideologia. Ha rimesso in piedi un Paese neo-stalinista, con il terrore, le persecuzioni, i lager, ricreando la grandezza geopolitica dell’Unione Sovietica, solo che invece dell’ideologia comunista ha quella nazionalista-sovranista-ortodossa.
(Paolo Rossetti)
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