È stata una vittoria soffertissima, combattuta scheda per scheda. Una differenza di meno di poche migliaia di voti ha consentito ad Alessandra Todde di vincere le elezioni regionali in Sardegna e conquistare un risultato in qualche modo storico: è la prima volta che il M5s governerà una regione, è la prima vittoria del “campo largo” Pd-M5s ed è pure la prima regione che il centrosinistra riesce a strappare al centrodestra da nove anni a questa parte. Per questo risultato la Todde deve ringraziare i suoi elettori più uno: il centrodestra a guida Giorgia Meloni. È stata la premier a imporre il nome del candidato della sua coalizione, l’ex sindaco di Cagliari Paolo Truzzu che già era poco amato in città, figurarsi nel resto dell’isola. Nell’interminabile spoglio – durato più delle operazioni di voto – Truzzu ha sopravanzato la Todde soltanto per poche ore. Già prima di sera, a metà scrutinio, da Fratelli d’Italia giungevano voci di sconfitta nonostante si stesse combattendo un testa a testa.
Se il centrosinistra ha vinto, lo si deve agli errori del centrodestra. Lo dicono i numeri: la coalizione al governo a Roma ha ottenuto il 48,9% dei consensi contro il 42,5% del centrosinistra. Ma il candidato Truzzu ha portato a casa soltanto il 45%. Tra il voto per le liste del centrodestra e quello per il candidato governatore (ricordiamolo: nelle elezioni regionali è questo il dato che conta) si sono persi per strada circa 5mila voti. La Todde invece ha avuto quasi 40mila voti in più rispetto alla sua coalizione. Molti elettori di centrosinistra hanno preferito votare la candidata presidente piuttosto che le liste collegate. Anche Renato Soru ha ottenuto circa 8mila voti oltre la somma dei suffragi delle liste a sostegno. Perfino Lucia Chessa ha incassato 3mila voti più dell’unica lista d’appoggio. Dunque, l’unico maltrattato dal suo stesso elettorato è stato proprio Truzzu. La tendenza è confermata dal dettaglio dello scrutinio: a Cagliari il divario tra Todde e Truzzu è ancora più netto, quasi 20 punti percentuali.
Giorgia Meloni ha preteso a tutti i costi Truzzu imponendo da Roma la logica della bandierina. Voleva un suo fedelissimo anche alla guida di una regione. L’errore di appoggiare l’ex primo cittadino cagliaritano è doppio: non soltanto la premier ha puntato su una figura poco popolare, ma soprattutto la sua scelta è apparsa come uno schiaffo al Partito sardo d’Azione, da cui proveniva il governatore uscente Christian Solinas, da tutti considerato un salviniano, mentre il leader leghista cinque anni fa aveva voluto e sostenuto Solinas proprio in quando segretario del PsdAz e convinto autonomista. La storia dell’autonomismo sardo è più vecchia di quella leghista e ammainare questa bandiera non è affatto piaciuto agli isolani. I sondaggi davano Solinas in testa sulla Todde. E comunque gli sarebbe bastato confermare i voti delle liste per essere rieletto.
Sono state così svilite le aspettative dei sardi. Ammainato l’autonomismo, le urne hanno riaperto la strada alle forze politiche più assistenzialiste che negli ultimi anni hanno difeso i bonus a pioggia e il reddito di cittadinanza, regalando così la prima regione ad un governatore di M5s.
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