La grande corsa al voto fra paracadutati, candidati improbabili, sconosciuti, riciclati e antiche glorie tornate in auge. È il panorama politico siciliano a 25 giorni dal voto. Fra Camera, Senato e Regione l’isola che fu laboratorio politico si riscopre “pensionata” più che incubatrice, con poche novità e quasi tutte residuali nelle previsioni di voto.
Ma andiamo con ordine e partiamo dalle politiche. In Sicilia fra Camera e Senato monta la polemica sui cosiddetti paracadutati. Candidati di coalizione inseriti in “collegi blindati” o considerati tali, o messi come capolista nei collegi plurinominali.
In Sicilia corrono i fratelli Craxi, su fronti opposti. Nel centrosinistra Bobo candidato nel collegio Palermo 2 alla Camera, Stefania, invece, nel centrodestra a Marsala. Loro, i figli di Bettino, almeno in Sicilia hanno una storia, lontani parenti e almeno Bobo è già stato eletto una volta nell’isola.
Ma i paracadutati sono anche e soprattutto altri. C’è Marta Fascina, la moglie di Silvio Berlusconi che corre nell’altro collegio di Marsala. A sinistra, invece, c’è la ligure Anna Maria Furlan, ex segretario generale della Cisl, schierata dal Pd come capolista nel plurinominale. Contro di lei il presidente dei senatori di Italia viva, Davide Faraone, palermitano e candidato in Sicilia, ha postato un video nel quale definisce immorale votare per chi non ha nessun legame con la terra che deve rappresentare.
Sono solo esempi di un clima che va arroventandosi in questa breve campagna elettorale nella quale le elezioni politiche traineranno le regionali e viceversa. Una scelta che appariva folle nel momento in cui è stata fatta, quella di accorpare le regionali alle politiche, ma che andando avanti sembra destinata a ridurre la quota di astensionismo che sarà comunque molto alta per effetto di una campagna elettorale breve, in pieno agosto e un voto a settembre quando ancora la Sicilia offre spiagge assolate.
Ma l’attenzione dei siciliani è concentrata più sulle regionali. Sette candidati alla presidenza. Il centrodestra, che ha ritrovato una unità “forzata” ma rischia di tornare a frammentarsi subito dopo le elezioni, schiera Renato Schifani, forzista della prima ora, ex presidente del Senato. Solo su di lui si è trovata la quadra. Ma chi si aspettava di poter dettare legge dovrà ricredersi. Schifani è uomo di coalizione, pronto ad essere garante di equità fra tutti i partiti dell’alleanza ma ha già detto chiaramente che sugli assessori deciderà lui così come ha fatto sul listino.
Il centrosinistra schiera Caterina Chinnici, europarlamentare, figlia del consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici, assassinato con l’autobomba di via Pipitone Federico nel 1983. Singolare il fatto che ad oggi la sua campagna elettorale non è ancora partita. Probabilmente l’apertura ufficiale slitterà a lunedì 5 settembre. Appena due settimane o poco più per convincere gli elettori.
D’altronde la Chinnici è partita in ritardo nonostante abbia vinto le primarie di coalizione. Il Pd urla al voltafaccia dei 5 Stelle che schierano Nuccio Di Paola, già grande elettore del presidente della Repubblica.
In corsa anche il vicepresidente uscente della Regione. Gaetano Armao ha aderito al terzo polo e adesso lancia una proposta a tutti gli altri candidati: un patto per abolire il voto segreto all’Ars.
In corsa ci sono poi il candidato degli indipendentisti Siciliani Liberi, Eliana Esposito, e quello di Italia Sovrana e Popolare, Fabio Maggiore.
Ma la vera incognita siciliana si chiama Cateno De Luca. L’ex sindaco di Messina ha costruito il suo consenso stando fra la gente ma anche utilizzando i social con un linguaggio urlato. A Messina, quando sapeva di avere il consiglio comunale contro, era abituato ad anticipare i temi che sarebbero stati trattati in consiglio sui social e “passare la palla” al consiglio con frasi del tipo “se non si potrà fare sapete di chi è la responsabilità”.
Da sindaco si è dimesso per correre alla Regione ed ha scelto lui stesso il candidato per succedergli sulla poltrona di primo cittadino. E a giugno è riuscito a farlo eleggere. Si chiama Filippo Basile. Oggi rosicchia voti a destra e a sinistra. Sì, perché ha accolto nelle sue liste anche il segretario del Pd catanese, Angelo Villari, che ha letteralmente strappato la tessera del partito appena 48 ore prima, in piena polemica col suo partito.
Lui, Villari, era uno dei cosiddetti impresentabili, perché a processo insieme all’ex sindaco di Catania e a decine di altri per il dissesto del comune etneo. Ma per le regole volute dal candidato Caterina Chinnici, non può candidarsi. Lui come altri “big” del partito in Sicilia.
De Luca, che aveva raccolto anche tanti altri scontenti un po’ dappertutto, è perfino riuscito a mettere in campo 39 liste su 9 province. La 40esima non è riuscito a presentarla; era pronta, ma non gli sono bastate le firme raccolte.
E i suoi toni, man mano che la campagna elettorale va avanti, continuano ad alzarsi. Se la prende con i sondaggi “pilotati”, con i giornali che li riportano o che battono notizie errate o, ancora, che non gli danno spazio. E con un linguaggio colorito, spesso offensivo, è riuscito anche a scontrarsi col sindacato dei giornalisti. È dato intorno al 14% ma lui sostiene che andrà molto oltre.
La politica urla, litiga e si autoriproduce mentre i commercianti chiudono le attività e gli imprenditori pensano di non riaprire a settembre perché i costi energetici, quadruplicati negli ultimi due mesi, sono tali da rendere inutile lavorare. E se non si fa qualcosa subito difficilmente si recupererà il rapporto fra politica ed elettori, anche quel poco che è rimasto, e che ha portato al voto i siciliani a giugno, rischia di essere compromesso.
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