Alla fine, Rishi Sunak, attuale primo ministro conservatore della Gran Bretagna, ha lasciato tutti di stucco. In pochi forse si aspettavano che fissasse le elezioni al 4 luglio, anticipandole di sei mesi rispetto all’ultima scadenza consentita dalla legge, a gennaio 2025. E qualcuno si è chiesto se la sua fosse una follia o un’intuizione geniale. Di fatto, chiarisce Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare nell’Università di Milano Bicocca ed esperto del sistema giuridico britannico, ha preso semplicemente atto che la legislatura attuale non aveva molto di più da dare e che forse, al di là dei sondaggi che danno i laburisti vincenti, anche per il Tory Party era meglio affrontare subito le urne con lo stesso Sunak come leader.
Quella dei conservatori è una sconfitta annunciata, anche se le dinamiche delle campagne elettorali inglesi inducono a non avere troppe certezze. Il partito del primo ministro, che ha pagato in questi anni le difficoltà nella gestione dell’uscita dalla Ue, cercherà di far valere l’accordo con il Ruanda per l’accoglienza dei migranti che chiedono di entrare nel Regno Unito, mentre i laburisti, che con Keir Starmer hanno abbandonato la linea di estrema sinistra che ha caratterizzato la guida (elettoralmente perdente) di Corbyn, punteranno sulle riforme del welfare e istituzionali. Dal punto di vista della politica estera, invece, le posizioni dei due partiti si sovrappongono. Per quanto riguarda la Brexit, Starmer potrebbe dare il via a una maggiore collaborazione con l’Unione Europea, ma senza ripensamenti sull’adesione alla Ue.
La decisione di votare a luglio è un azzardo che Sunak potrebbe pagare caro?
Mi sembra più che altro la necessità di evitare uno stillicidio e una resa rispetto alle divisioni interne al suo partito. La legislatura poteva andare avanti fino alla fine dell’anno, il termine ultimo per le elezioni cadeva nel gennaio 2025. Sunak, però, ha ritenuto assennatamente che questa legislatura non avesse più niente da dare e da dire e che fosse difficile ritrovare un’unità interna ai Tory per cercare di invertire la rotta nei sondaggi. Ha ritenuto che rimanere a Downing Street alcuni mesi in più avrebbe potuto comportare persino un danno rispetto alla situazione attuale e quindi ha preferito le elezioni, per giocarsela con lui ancora come leader. Non è un azzardo, non ha giocato una partita al casinò, ha scelto il momento meno brutto, per lui e il partito, per andare al voto.
Insomma, visto che la sconfitta è data per probabile, ha pensato almeno di limitare i danni?
Un primo ministro non va al voto dando per assodata la sconfitta, però c’è un’emorragia di consensi in corso, di fronte alla quale Sunak ha pensato: “Proviamo subito ad andare allo showdown e vada come vada”.
Come si presentano i due grandi contendenti alle elezioni? I laburisti vinceranno di sicuro?
Non diamo troppo le cose per scontate: guardando i sondaggi è del tutto evidente che i laburisti hanno di fronte un rigore a porta vuota. Ma non dobbiamo dimenticarci che in Gran Bretagna le campagne elettorali sono importanti e che una parte del popolo britannico è molto disponibile a cambiare voto. Ci saranno sempre i conservatori che voteranno conservatore e i laburisti che voteranno comunque laburista, ma c’è una parte consistente dell’elettorato disponibile a orientarsi in ragione di come viene condotta la campagna elettorale. La partita è meno scontata di quello che possa sembrare. Non sarà irrilevante neanche di quanto vinceranno i laburisti: un conto è se lo faranno di 20 punti percentuali, come danno i sondaggi, con consensi che si riverbereranno in una quantità di seggi mostruosa, altra cosa è se il gap dovesse ridursi: in tal caso inevitabilmente comporterà meno seggi di vantaggio. Infine, bisogna ricordare che ci sono, come sempre, seggi in bilico, che il sistema uninominale maggioritario rende ancora più importanti, nei collegi, ciò che chiamano constituency.
Sunak su cosa punterà? Cercherà di capitalizzare il piano approvato per lo spostamento in Ruanda dei migranti?
Sunak deve giocarsi la carta del Ruanda perché è stato un elemento forte della sua linea politica, anche se ha comportato divisioni all’interno del partito. Quanto questa scelta possa mobilitare l’elettorato ho molti dubbi, credo che al massimo compatterà una parte di quello conservatore.
Quali sono i punti forti del programma dei laburisti?
La carta più importante è proprio Keir Starmer, cioè la discontinuità fra un Labour estremamente spostato a sinistra come fu con Corbyn, scentrato ed eclettico rispetto al focus della società britannica, che non ha fatto altro che perdere a tutte le elezioni per anni. La discontinuità incarnata da Starmer è l’arma più importante. Per quanto riguarda il programma, aspettando gli electoral manifesto, possiamo ragionare sui documenti prodotti sinora: i loro punti di forza saranno il tentativo di rispondere a sacche di disuguaglianze molto forti, che si esprimono in particolare in alcune aree della Gran Bretagna, con una rivisitazione del welfare, per renderlo più aderente alle esigenze di quella parte della società che si considera esclusa dalle dinamiche economiche e socioeconomiche. Dall’altra punteranno su riforme istituzionali, per esempio ripensando il ruolo della Camera dei Lord per renderla più territoriale rispetto a una camera nominativa come è adesso.
La Gran Bretagna ha un ruolo da protagonista sulla scena mondiale, in particolare per quanto riguarda la guerra in Ucraina. L’avvento dei laburisti potrebbe cambiare qualcosa?
Non considerando la politica migratoria, per il resto tra Sunak e Starmer vedo una grandissima continuità, soprattutto in relazione alla guerra in Ucraina e alla crisi mediorientale, determinata proprio dalla discontinuità che ha caratterizzato il passaggio dei laburisti dalla leadership di Corbyn a quella di Starmer.
Perché i conservatori in questi anni hanno perso così tanti consensi? Hanno pesato le divisioni interne?
La discesa nei consensi è dovuta a un complesso di elementi, cui aggiungerei le inevitabili ma importanti difficoltà determinate dalla vicenda Brexit. La gestione dell’uscita dalla Ue e del post Brexit ha visto troppe divisioni interne e una difficoltà a dare una linea politica univoca a un partito che fin dall’inizio era diviso fra pro remain e brexiteers, emerse in modo plastico dopo la decisione del corpo elettorale di far prevalere il leave.
Gli inglesi si sono pentiti di aver lasciato la Ue?
Questo è un discorso molto più complesso di quello che può sembrare a noi da questa parte della Manica. Nessuno dei due grandi partiti prometterà un ripensamento della Brexit e un tentativo di rientro nella Ue: sanno di avere al loro interno un fortissimo elettorato brexiteer. Se vincessero i laburisti, però, potremmo aspettarci un rapporto più collaborativo tra Regno Unito e Ue, con una propensione a chiedere accordi collaborativi, ma non più di questo, perlomeno nell’immediato e ragionando sui documenti ufficiali prodotti fin qui dai partiti.
(Paolo Rossetti)
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