LONDRA – Il giorno dopo il voto che ha consegnato una schiacciante vittoria ai conservatori e ha visto passare di mano dozzine di tradizionali roccaforti Labour nel nord del paese, il Regno Unito cerca di riprendersi dallo shock. Nessuno si aspettava una vittoria su questa scala per il premier e il suo partito.
Di fatto, questo è stato il secondo referendum sulla Brexit, e i britannici hanno votato ancora leave. Il responso è stato schiacciante: l’unico partito che ha promesso di fare la Brexit ha avuto la maggioranza, mentre le opposizioni, che in un modo o nell’altro vogliono evitarla (ignorando il risultato del referendum del 2016), sono state punite dagli elettori.
Jeremy Corbyn, leader del partito laburista che non ha preso posizione sulla Brexit, rimandando ogni decisione a un secondo referendum, è stato punito con la perdita di 59 seggi, per un totale di 203 seggi, il peggior risultato dal 1935 per il suo partito.
Jo Swinson, la leader del partito liberal-democratico, che si è schierato contro la Brexit nel tentativo di acchiappare il voto remain, ha perso nel suo collegio elettorale e si è dovuta dimettere. Il partito ha solo 11 seggi in Parlamento.
Nigel Dodds, deputato del partito unionista nordirlandese (Dup), che si era opposto all’accordo per la Brexit negoziato dal premier, ha perso il suo seggio a Belfast. Il partito è sotto di due seggi a Westminster.
Diversa la sorte del partito nazionalista scozzese (Snp), che pur opponendosi alla Brexit ha 13 seggi in più, per un totale di 48. La prima ministra scozzese, Nicola Sturgeon, ha puntato sull’opposizione alla Brexit dell’elettorato scozzese (il 60% aveva votato per rimanere in Europa) e sul referendum per l’indipendenza della Scozia.
Ma torniamo alla notte tra giovedì e venerdì: il primo shock è stata la vittoria dei conservatori a Blyth Valley (Northumberland), un collegio elettorale dominato dal Labour fin dall’anno della sua creazione, il 1950. Una roccaforte “rossa” dove il 60,49% degli elettori aveva votato leave al referendum sulla Brexit.
Blyth Valley è un caso emblematico, ma la sua sorte è stata condivisa da dozzine di altri collegi elettorali che in comune hanno la vittoria del leave nel 2016. A Bishop Auckland, per esempio, altra roccaforte “rossa” passata in mano ai conservatori, il fronte del leave aveva vinto con il 60,9%, a Sedgefield con il 59,4%, a North West Durham con il 55%. La strategia dei conservatori, che hanno puntato a strappare queste circoscrizioni al Labour facendo leva sulla Brexit, ha pagato. L’errore del partito laburista è stato di non aver colto la portata del voto del referendum e di ostinarsi a non tenerne conto. Il popolo della Brexit si è sentito tradito, inascoltato dal partito che tradizionalmente votava, magari da generazioni, quindi è passato dall’altra parte.
È a questo popolo arrabbiato che Boris Johnson si è rivolto nel primo discorso del suo nuovo mandato, a Downing Street, dicendo di voler ripagare la fiducia riposta in lui dai supporters del Labour che per la prima volta hanno votato per i conservatori.
Un altro aspetto interessante di queste elezioni sono stati i giovani. Accorsi in massa alle urne, tanto che si è parlato di “youthquake” (terremoto giovani), sono stati ritratti nelle fotografie delle lunghe code fuori dai seggi, smartphone alla mano in attesa di votare. Si dice che i giovani tendono a votare a sinistra, in quanto sensibili ai temi ambientali, al climate change, alla giustizia sociale e contro l’austerity dei conservatori. Sui social ci sono stati appelli a votare Labour da parte di influencers e personaggi famosi seguiti dai giovani. Vista l’alta partecipazione, l’opposizione avrebbe dovuto beneficiare del loro voto.
Ma il risultato disastroso per i laburisti potrebbe far pensare che alla fine molti giovani abbiano preferito votare per i liberal-democratici (la cui posizione sulla Brexit è meno ambigua) o per i verdi, oppure che senza dirlo pubblicamente, alla fine abbiano votato anche loro per la Brexit.