Il partito repubblicano vince le elezioni di medio termine negli Usa (che, come tradizione, favoriscono l’opposizione) ma non stravince ed il risultato al Senato è ancora appeso a un filo con il calcolo finale dei seggi che conterà moltissimo per il futuro di Biden.
Se il Presidente da una parte può gioire per il mezzo insuccesso avversario, dall’altra sa di essere diventato più debole e soprattutto di non aver trascinato i democratici, con un gradimento personale ormai sotto il 40%.
È chiaro che questi risultati porteranno comunque a pesanti sommovimenti in mezzo mondo e condizioneranno i prossimi due anni americani nonostante le prime “primarie” inizieranno solo a fine 2023.
Per cominciare c’è il fronte Ucraina, dove Biden si era lanciato in una forte campagna anti-Putin spalleggiato dai “falchi” Nato e dalle lobby delle armi che in questi mesi hanno fatto affari da record.
È probabile un ridimensionamento delle forniture Usa e l’invito al presidente Zelensky – come già è avvenuto negli ultimi giorni, fatto nuovo di grande importanza – di dimostrarsi più aperto a un negoziato.
Ma soprattutto incombe il fronte interno, dove l’economia è stato il tallone d’Achille del Presidente in vista di un traguardo elettorale 2024 che per Biden rischia di trasformarsi in un lungo calvario. I democratici hanno puntato soprattutto su tematiche legate ai diritti civili (ad esempio la libertà d’aborto) mentre i repubblicani sui problemi economici ed inflattivi suscitano consensi, ma non sfondando.
E poi c’è Trump, quello che paradossalmente potrebbe essere proprio il miglior alleato dei democratici.
L’ingombrante presenza dell’ex Presidente crea infatti tra i repubblicani un acceso scontro interno, perché Trump non ha dietro di sé gran parte delle strutture di partito ma piuttosto molti degli iscritti più attivi e quindi potenziali elettori determinanti alle primarie per scegliere il candidato presidenziale. Questo robusto zoccolo duro dell’elettorato determina spesso il candidato alla presidenza, ma è numericamente minoritario rispetto al numero degli effettivi elettori del Gop alle presidenziali che sono in buona parte repubblicani più moderati che spesso non sopportano Trump.
Soprattutto, la presenza di Trump come prossimo candidato ufficiale repubblicano alla presidenza potrebbe spingere milioni di democratici delusi ad andare a votare pur di esprimersi “contro” Trump e non rischiare di vederselo di nuovo alla Casa Bianca, esattamente come è successo due anni fa.
Va ricordato che negli Usa vota poco più della metà del corpo elettorale, che per votare è comunque necessario iscriversi e quindi l’obiettivo di battere Trump – se candidato – sarebbe il principale spot elettorale per qualunque candidato democratico. L’attenzione si sposta quindi su chi saranno i prossimi candidati. Tra i democratici Biden appare stanco e giù di giri, ma non aver subito un pesante Ko martedì gli dà ancora spazio per candidarsi, mentre il fronte repubblicano è una bolgia con Trump che la prossima settimana annuncerà ufficialmente di voler scendere in campo.
Potete immaginare quanti commenti, polemiche, battute, inchieste giornalistiche e penali si scateneranno contro Trump da qui al 2024 per la gioia del protagonista, che gode a rimanere in prima fila e – con i suoi modi che ben conosciamo – stroncherà ogni possibile compromesso.
Molti tra i repubblicani vedrebbero quindi altri candidati meglio di Trump – in primis il giovane governatore della Florida Ron DeSantis, rieletto a furor di popolo – candidati alternativi che però rischiano di non vincere alle convention statali del partito, anche se probabilmente vincerebbero facilmente le elezioni presidenziali.
Da tempo sostengo che con DeSantis i repubblicani vincerebbero facilmente nel 2024. Un DeSantis candidato raccoglierebbe molti voti moderati e soprattutto non susciterebbe la mobilitazione avversaria togliendo ai democratici il principale tema di campagna elettorale, quello del “voto contro”. Trump (che lo aveva appoggiato per il primo mandato a governatore nel 2018) lo vede già come possibile antagonista e non mancheranno polemiche interne ai repubblicani con il rischio che queste spaccature favoriscano i democratici.
Trump è un personaggio unico, ricco, strafottente e narciso, ma con la sua veemenza si è però già attirato le ire di una parte dei vertici del partito che – se si unissero per sostenere DeSanctis – renderebbero incandescenti ed incerte le primarie repubblicane, alle quali però DeSantis ancora non ha annunciato se parteciperà.
La sua potenziale candidatura dipenderà infatti da molti aspetti, compreso il non impossibile impeachment dello stesso Trump a seguito di inchieste sul suo conto o addirittura una scelta strategica di DeSantis per attendere elezioni future visto che il tempo è dalla sua parte.
Intanto, come conseguenza del voto di ieri e soprattutto se perdesse il controllo del Senato, Biden si troverà ora più debole al Congresso, con maggiori difficoltà a far passare dei provvedimenti ostili ai repubblicani e quindi rischia di finire il proprio mandato in un immobilismo pericoloso (e criticabile) soprattutto davanti alle difficoltà economiche e all’aumento dei prezzi.
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