“Noi creeremo ciò che io chiamo economia dell’opportunità. Quella in cui ciascuno ha una chance di competere e di avere successo: sia che viva in un’area rurale, in una piccola città o in una metropoli. Come presidente, io voglio tenere assieme tutti: lavoratori, imprenditori piccoli e grandi, tutte le “companies” (società di capitali, ndr). Per creare posti di lavoro, far crescere l’economia, abbassare il costo della vita quotidiana. Come quelli per la sanità, per la casa, per i generi alimentari. Provvederemo a che chi gestisce o fonde un’attività piccola o grande abbia accesso al mercato dei capitali. Porremo fine alla penuria di case in America. E proteggeremo la sicurezza sociale e la sanità pubblica (Medicare)”.
Il “programma economico” di Kamala Harris è tutto qui, nel suo discorso di accettazione della candidatura democratica per la Casa Bianca. Obiettivi di buon senso scolastico (neppure tutti) e assolutamente nulla sui mezzi per raggiungerli. Nemmeno quelli che la vicepresidente in carica ha co–firmato negli ultimi quattro anni con Joe Biden (peraltro brutalmente cacciato dal suo stesso partito di fronte al suo Paese).
Per la verità – nel paragrafo sostanzialmente vuoto dedicato alla Kamalanomics – non va ignorato un breve seguito–appendice, rigorosamente all’interno dell’approccio monodimensionale di un’intera strategia politica: noi dem siamo contro i tagli delle tasse che ha in programma Donald Trump. È lecito leggervi l’intenzione di non diminuire le tasse, anzi forse di aumentarle ai redditi più alti, ai grandi patrimoni e alle grandi corporation. Ma questo Harris – a conclusione dei quattro giorni di convention a Chicago – non l’ha detto e chissà se lo dirà mai prima del 5 novembre. Ha invece avvicinato la linea rossa del fake e della malafede quando ha accusato Trump di voler aumentare il debito pubblico: è stata semmai l’amministrazione Biden–Harris, nel 2023, a premere sul Congresso per ottenere un abbattimento eccezionale del tetto costituzionale all’indebitamento pubblico (per finanziare gli aiuti a Ucraina e Israele, non solo per sostenere la spesa pubblica interna).
Kamala ha sfiorato il ridicolo anche nell’accenno fuggente a una sua “campagna contro le Big Banks” in California: dove invece la politica finanziaria dem (inflazione da guerra frenata dalla Fed con rialzi affannati dei tassi) ha fatto fallire la prima banca di una serie. Su Wall Street sembra rimanere il silenzio operoso di Obama–Biden dopo il crack del 2008: salvare le grandi banche con i soldi dello Stato e ri–regolare il meno possibile il Mercato.
Sull’inflazione, che anche in Usa ha falcidiato redditi e risparmi di centinaia di milioni di elettori, Harris non ha abbozzato un’analisi neppure elementare. Non ha neppure ripetuto in chiaro quello che ha buttato lì una settimana fa in un comizio: che sui rincari dei prezzi quelli che sembrano averci guadagnato un po’ troppo sono i negozianti di alimentari. Eppure il maggior intervento di politica economica di Biden – presidente in carica di cui lei ha raccolto “la torcia”- si è chiamato “Inflation Reduction Act” ed ha segnato il tendenziale ritorno dell’intervento pubblico nell’Azienda–Usa, con un focus sulla transizione energetica.
A proposito: Harris non ha mai pronunciato la parola “verde” o “ambiente”. In un discorso di 43 minuti, pochi secondi (una riga e mezza) sono stati riservati “al diritto di respirare aria fresca, bere acqua pulita, vivere liberi dall’inquinamento che alimenta il cambiamento climatico”. Neppure un accenno agli Accordi di Parigi, uno degli allori (effimeri) della presidenza Obama. E comunque un impegno ecologico a mala pena minimo è incastonato fra una lode alla “libertà per tutti di amare chiunque apertamente e con orgoglio (pride)”, e la “libertà di votare” (presumibilmente risposta in codice a una controversa affermazione di Trump su “un futuro in cui non sarà più necessità di votare”). It’s not economy, stupids.
Il salario minimo che nel 2020 Harris – in ticket con Biden – aveva promesso di portare ad almeno 12 dollari? Non realizzato e quindi dimenticato.
L’intelligenza artificiale e la conquista dello spazio (unico pacchetto, cinque parole)? “Guideremo il mondo”, amen.
Il confronto geoeconomico con la Cina? Un inciso: “Faremo di tutto perché l’America – non la Cina – vinca la competizione nel ventunesimo secolo”.
Le armi? Alla Harris interessano solo quelle che minacciano la sicurezza nelle strade americane (quelle dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021). Il bilancio del Pentagono non sembra essere nel suo radar. Né il “Chip Act” con cui Biden ha avviato il reshoring industriale nelle produzioni più funzionali alla difesa.
L’oligopolio dei giganti (californiani…) sulla Rete? Non pervenuto: eppure Biden ha installato a capo dell’Antitrust la combattiva “zarina” Lina Khan, che ha provato ad alzare il tiro su Amazon & C.
Di fronte alla New Way Forward di Harris sembra un gigante quel leader politico italiano che alcuni anni fa propose il reddito di cittadinanza per abolire la povertà. Vinse le elezioni e varò il reddito di cittadinanza in pochi mesi, difendendolo per tutta la legislatura. Ma al voto successivo non fu rieletto. Invece la Harris con il suo Programma Zero ha buone chance di diventare la prima donna (non bianca) presidente degli Stati Uniti.
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