Un duello tv disastroso per Biden, con i media (perfino quelli amici) che si arrendono all’evidenza, e il Partito democratico che deve correre ai ripari. In realtà giovedì sera, davanti – o meglio, dietro gli schermi di mezza America, è successo di più. Dietrologie? No, politica, quella di Washington. Un show coordinato, in prima serata, per costringere Joe Biden a farsi da parte. Poi i donors del Partito democratico, non più disposti a rischiare milioni di dollari su un presidente fragilissimo, e quella parte di Partito repubblicano che sostiene Biden. E infine il fattore decisivo: le minoranze da intercettare e convincere a votare.
È questa l’analisi di Chris Foster, investitore. Con un’avvertenza: le semplificazioni non sono legittime. “Sono ancora convinto che la partita tra Trump (DJT) e Biden (JB) rimanga al momento in pareggio”, spiega Foster al Sussidiario. E questo, per certi versi, rende tutto più interessante.
Elettori, media e membri del partito democratico sono rimasti scioccati dalla performance di Biden giovedì sera. La sua prima impressione?
A mio parere era tutto previsto e forse anche coordinato. Nessuna sorpresa per molti osservatori. Era necessario uno show in prima serata per costringere Biden a lasciare. Anzi, più precisamente, per spingere il cerchio magico di Biden a guidare un abbandono dignitoso del “progetto JB”.
Progetto JB? Cosa vuol dire?
Mantenere al potere della Casa Bianca ancora 4 anni una persona mentalmente isolata dalla realtà e incapace di prendere decisioni strategiche di portata locale e globale non può che essere parte di un progetto, di un piano. Mi sembra evidente che la cerchia più vicina a JB potesse avere interesse all’estensione dello status quo.
Non ci si può meravigliare adesso dello stato di salute di JB.
E invece, paradossalmente, qualcuno si è stupito. Forse era accecato dall’ideologia, oppure si è nutrito esclusivamente di narrativa dem da diversi anni e non si è reso conto della situazione. Ma questo show impietoso non è l’aspetto più clamoroso.
E quale sarebbe invece?
Trovo istruttivo che tutti i media della galassia dem siano usciti il giorno dopo, anzi la notte stessa con un appello coordinato affinché JB lasci e venga rimpiazzato as soon as possible, nell’interesse della nazione. I titoli e i commenti di New York Times, Bloomberg, Washington Post, Axios, Politico, e anche di un giornale come il Wall Street Journal, non certo di sinistra ma anti-trumpiano fino all’osso, come pure del Financial Times, si sono lanciati in un appello che era a dir poco coordinato e basato su un’ipocrisia che solo il giornalismo senza etica di oggi si può permettere. I più fedeli cortigiani del Presidente non si ribellano tutti insieme a distanza di poche ore da un dibattito televisivo che semplicemente conferma quello che tutti o quasi sapevano.
In un modo o nell’altro, la débâcle di Biden in tv ha bucato la bolla.
Fino a ieri, quei media americani, seguiti a ruota dai noti “NYT Google-translate newspapers” italiani, francesi e tedeschi, hanno difeso l’indifendibile, cioè la salute mentale di JB. Anzi, in Europa non era nemmeno permesso sollevare un piccolo dubbio: come spesso succede in Europa, i seguaci della linea NYT, Bloomberg, WaPo, etc. vogliono essere ancora più “allineati” delle loro guide spirituali, fino al ridicolo. “More catholic than the Pope”, diremmo noi.
Se l’uomo più potente del mondo non è da anni chiaramente in grado di governare, due regole di base del giornalismo sarebbero: uno, bisogna affrontare l’argomento, due, bisogna chiedersi chi ha governato fino ad ora. O no?
Ne aggiungerei un terzo: magari chiedersi anche chi ci sta spingendo verso un possibile conflitto globale, con un JB non “in charge”. Piccole cose, insomma.
Manca la risposta alla sua provocazione. Chi ha coordinato lo “show” di giovedì sera?
La mia idea è molto semplice e come quasi sempre parte dal mio bias professionale: follow the money.
Era inevitabile: eccoci ai donors.
Il fundraising di JB sta rallentando, mentre Donald Trump è riuscito ad aprire dei fronti di supporto anche per me inaspettati, sia nel mondo di Wall Street che nel mondo tech. A questo punto, dato il virtuale pareggio della sfida, servirà ad ambedue i lati una valanga di fondi freschi da investire in pubblicità ed eventi straordinari, per riempire stadi e piazze e quindi creare una grande spinta emozionale per muovere gli indecisi nei swing States.
Ci deve spiegare in dettaglio, soprattutto quel virtuale pareggio, ma continuiamo sulle ragioni per il cambio di direzione del mondo dem.
La narrativa su JB in salute è stata portata avanti dall’apparato dem, dai suoi fedelissimi, dalla corte di Hollywood e showbusiness annesso, e anche dall’estrema sinistra di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. Anche Obama continua a supportarlo, e non deve sorprenderci. Dirò di più, anche una parte dell’apparato GOP tifava per JB e quindi non ha mai spinto per una seria analisi della situazione. Cioè una parte dell’establishment del GOP ha indirettamente supportato Biden per anni.
Sembra incredibile, e invece…
Non è incredibile, è solo coerente con quello che continuiamo a dire su queste pagine, e cioè che lo status quo, cioè Biden e i sui tutori, vanno bene ai dems, all’apparato repubblicano – Mitch McConnell, Paul Ryan, Mitt Romney, eccetera –, alla Silicon Valley e soprattutto al Pentagono.
I dems riusciranno a convincere JB a lasciare?
Secondo me sì, ma sarà una decisione difficile e sofferta, anche perché sono ancora convinto che la partita Trump-Biden al momento rimanga in pareggio. Questo è un punto delicato da capire. A mio avviso la sconfitta di JB non è sicura nemmeno dopo il dibattito.
Se secondo lei Biden avrebbe ancora delle chances, per quale motivo dovrebbe andarsene?
JB deve lasciare perché una parte del sistema di consenso e soprattutto di supporto finanziario democratico USA ha imposto un ricambio. Ciò che sta succedendo è un guerra all’interno del Partito democratico, ma non si tratta di gestire un’improvvisa debolezza mentale di JB. È come un’assemblea degli azionisti di una grande società, in cui una parte degli shareholders vuole imporre un cambio al vertice, che comporta chiaramente anche un cambio degli executives che circondano il CEO – o dei suoi tutori, in questo caso.
L’economia ha sempre contato molto tra gli indecisi al voto. Biden insiste nel sostenere che l’economia USA non è mai stata così in buona forma. Se fosse così, l’incumbent, JB, dovrebbe avere la strada spianata, ma i sondaggi dicono che il malcontento tra gli elettori sta crescendo. Lei cosa dice?
Un giudizio completo sulla gestione economica dell’amministrazione Biden sarà possibile solo tra qualche anno, in quanto ci vorrà tempo per valutare gli effetti permanenti e a mio parere distorsivi dell’aumento della spesa pubblica, la conseguente esplosione del debito federale, di sussidi e regulation che hanno dominato questi tre anni, nonché la disastrosa politica ambientale ed energetica. I media si chiedono come mai “il popolo è scontento” dopo anni di disoccupazione ai minimi, crescita superiore alle attese degli analisti, Wall Street ai massimi di sempre.
Ebbene?
Varrebbe la pena di affrontare l’argomento in dettaglio, ma qui la questione chiave è l’inflazione: Wall Street, la FED e gli economisti guardano al trend dell’inflazione, che sta dando confortanti segnali di stabilizzazione sotto il 3% (annual PCE deflator, la misura apertamente adottata dalla FED, nda), mentre la gente, giustamente, valuta che molti dei beni e servizi di prima necessità sono cresciuti del 30-40% in 4 anni. Anche se tali beni, tra cui il “food”, si stabilizzano, il salto di prezzo è stato eccezionale e mai sperimentato prima da molti elettori. L’inflazione cumulativa dei precedenti 12 anni è stata registrata negli ultimi tre. Si sente e fa male!
Come si stima chi vincerà le elezioni?
Ciò che conta è l’“impatto marginale” di alcuni gruppi di elettori che specialmente negli swing States faranno la differenza. A mio parere i dems perderanno voti in California, State of NY, Massachusetts e altri Blue States. Ma questo non ha impatto sul calcolo dei “grandi elettori”. Quindi l’impatto di poche centinaia di migliaia di elettori negli swing States sarà decisivo.
Quali sono i temi chiave?
I due lati politici sono estremamente polarizzati. I dems scontenti non voteranno mai per Trump – come probabilmente è già accaduto nel 2016 –, mentre forse un 5% dei repubblicani potrebbe considerare addirittura un voto contro DJT. Dove JB si trova paradossalmente in difficoltà è sul fronte minorities, cioè latinos e blacks, e sul fronte giovani, che non hanno apprezzato le sue ambiguità sulla situazione in Medio Oriente, per esempio, e hanno ovviamente sofferto l’esplosione dell’inflazione più di altri.
Per quanto riguarda i nuovi diritti?
Il supporto incondizionato dell’attuale amministrazione a politiche pro LGBTQ non vede il sostegno totale delle comunità afroamericane e ispaniche. In più, molti giovani sono rimasti delusi dalle politiche ambientali che si sono rivelate confuse, ideologiche e meno “transformational” di quello che era stato annunciato.
Cosa significa questo per Trump?
La chiave della possibile vittoria per Trump è trovare un vicepresidente non troppo “trumpiano” che lo aiuti a recuperare voti interni al partito e che sposti dei voti nelle periferie degli swing States. Cioè dove DJT quattro anni fa ha perso.
E nel caso di JB?
Occorre mobilitare la parte delusa e “fredda” dell’elettorato: alcune indagini riportano di un 5% di elettori dems registrati e votanti nel 2020 che potrebbe non andare a votare. La vittoria di Biden nel 2020 è stata il frutto di una chiamata alle armi, un appello da più parti a mobilitarsi “per salvare la democrazia, l’ambiente e i valori liberal”. Adesso questo elemento “movimentistico” sta aumentando sui media, con toni apocalittici, ma la grande parte della popolazione incerta non si nutre di NYT e WaPo o The Economist. È quindi necessario un vento nuovo per portare gli elettori dems “freddi” alle urne, e questa chiamata negli ultimi mesi si è indebolita.
E quindi i dems dove si giocano la vittoria, che sembra più difficile?
Ancora una volta, in assenza di un credibile e soprattutto sostenibile programma economico-sociale dal lato democratico, tutto si giocherà sul fronte della mobilitazione per salvaguardare ciò che essi ritengono i “valori chiave” della società. A mio parere, e mi ripeto, il tema aborto sarà la parola chiave per mobilitare giovani, donne e minoranze al voto per JB o il suo sostituto.
Eccoci al punto: chi sarà?
Kamala Harris sarebbe la scelta logica, essendo vicepresidente, ma i grandi critici di JB vorrebbero un cambio più radicale. Kamala ha un supporto molto limitato nei swing States. Il candidato che ha passato più tempo a Washington che nel suo Stato è Gavin Newsom, e questo fa pensare che stia provando la parte che dovrà recitare presto. Ma non è una strada facile…
In che senso?
I delegati delle primarie dems dovranno ritrovarsi ad agosto per la National Democratic Convention e tecnicamente votare il candidato. Non è chiaro se basterà un endorsement di JB che abbandona o Obama per cambiare a grande maggioranza il candidato.
Torniamo a Newsom, che però continua a negare di essere un possibile sostituto di JB.
Essendo guidato da un’ambizione smodata, non si tirerebbe indietro. È brillante, bella presenza e amico dei grandi donors della Silicon Valley, ha effettivamente un certo appeal. Anche se il suo track record come governatore della California è catastrofico, perché ha praticamente devastato per sempre lo Stato più ricco e forse più bello e amato degli USA.
Chi ci potrebbe essere, oltre a lui?
Gretchen Whitmer e J.B. Pritzker (governatore dell’Illinois, nda). Ambedue rappresentano la parte più aggressiva del fronte pro choice e si sono esposti da anni con grande visibilità come strenui difensori dell’aborto. Pritzker non è così attivo a Washington nell’establishment del partito, essendo un businessman miliardario che non ama molto la politica federale, mentre la Whitmer, governatrice del Michigan – che è uno swing State! – è da tempo nella shortlist di futuri leaders nazionali.
La strategia per vincere?
Alla fine si tratterà per i dems di trasformare le prossime elezioni in una “scelta di civiltà”, più che un’ultima chiamata prima della dittatura, come i mainstream media vogliono presentare la situazione. E quindi il tema aborto sarà quello più adatto e più sensibile a raccogliere la stragrande maggioranza delle donne e dei giovani indecisi del lato dem.
Non ci siamo dimenticati di Michelle Obama?
Tutti ne parlano, e anche se potrebbe essere la persona che ricreerebbe il clima e lo spirito della prima vittoria di Obama, non sembra aperta ad accettare.
Per quale motivo?
Potrebbe aver capito che una fetta del partito, quella che vuole sbarazzarsi di JB, non vorrebbe avere come soluzione la moglie del suo tutore.
(Federico Ferraù)
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